venerdì 28 marzo 2008

Temporal Power




Prologo.

Stato Pontificio, ore 08:30 di un giorno qualsiasi.

“A-aa-aaah…rrr-mmm…AAAAAAAAAAAAARRRRRRRRGGGGHHHH!!! Diooooo, dammi la forza!!! ESCI DA QUESTO CORPO ESSERE IMMONDOOOOOOOO!!! AAAAAAAAAARRRRRRRRRRGGGGGGGHHHHHH!!!”

Cinque minuti dopo…

“P-padre, ho sentito la sua sofferenza ed il mio cuore ha avuto un sussulto di dolore, si sente bene?”

“Certo, Guglielmo, deve essere stata la peperonata di ieri sera, troppo piccante. Ma veniamo a noi: come vanno le cose lì a Sin City?”

“Male, purtroppo, il maligno raggruppa il suo esercito, sempre più numeroso. La città gorgoglia di lussuria e immoralità.”

“Urgono misure dure, Guglielmo.”

“Lasci fare a me, Santità, il demonio sarà esiliato nell’oscuro reame, per sempre.”




Sei mesi dopo…
Sin City…notte, è sempre notte.
Inalo catrame guardando quello che resta della città. Appena sei mesi fa potevi affacciarti alla tua cazzo di finestra e vederle tutte:
Amy – Gran troia, tette grandi, vere, autoreggenti e perizoma, anche a dicembre.
Gloria - Detta “golaprofonda”, non serve altro.
Cindy – Sado-maso-fetish-lesbo-oral-anal-double anal- triple anal.
Loro erano il meglio che questo lercio posto potesse offrire, gambe aperte e pistola in mano. Puoi cacciare i verdoni, infilarlo dentro, ma sono loro che scopano te e ti rimandano a calci in culo dalla tua mogliettina frigida.
Poi c’era Mark, quello sì che ti faceva sballare. Laurea in farmacia messa al servizio dello spaccio di droghe fatte in casa, tu gli chiedi le zebre a pois, lui te le fa vedere.
Paul, gestore della peggior bettola per alcolizzati e puttane, un posto dove anche uno zombie avrebbe potuto sbattersi la miglior troia di Sin City.
Io sono la miglior troia. Gestisco le passere, il denaro, le armi e faccio in modo che ognuno abbia il suo pezzo di Paradiso.
Il Paradiso, già…è quello che tutti credevano di aver assaggiato, prima di lui, Guglielmo.
Venne di venerdì, indossava la sua tunica nera, una Bibbia sul cuore e la magnum nella fondina.
Cindy si avvicinò, fece per ghernirlo col suo vibratore, il tempo di un click, poi lo sparo e la graziosa troietta era ricordo.
Fiumi di pallottole come vomito caldo caddero sul prete, ma era veloce, troppo.
Non ricaricava, sparava incessabile, svelto, preciso.
Gloria, lei e le sue spade, nulla da fare, troppo lontana ed il proiettile le perforò per sempre la sua profondissima gola. Certo, ora potrebbe spompinarne due contemporaneamente…pace all’anima sua.
Venne il turno di Amy e del suo fucile. Qualcuno disse che quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, l’uomo con la pistola è un uomo morto. Guglielmo non era quell’uomo, il sangue di Amy diede quel tocco di femminilità al grigio cemento.
Paul e Mark, puah…uomini.
Uno troppo ubriaco per reagire, l’altro non fece in tempo a trovare le palle di combattere nei suoi pantaloni che già non servivano più.
Gli avamposti caddero. Il resto, puttane, papponi, mammolette varie scapparono da Sin City, i grandi erano a terra.
Solo io rimanevo.
Giocai la carta della figa, quella non sbaglia mai, pensando che l’unica cosa dura che potesse avere il prete fosse la sua magnum.
Mi sbagliai.
Vide il mio gioco e mi infilò il suo poker d’assi tra le gambe.
Pensai a Madonna “Like a Virgin”, così mi sentivo mentre me lo sbatteva con la forza di chi ha fatto voto di castità.
Mi piacque e non ci misi molto a fare due più due.
Sin City è caduta e non avrei mai trovato un posto simile, tranne che lì.


Epilogo.

Sato pontificio, qualche tempo dopo.

“Allora, Guglielmo, posso gioire nella gloria del Signore?”

“Certo, Santità, il demonio è fuggito, Sin City è storia, come Sodoma e Gomorra.”

“Bene, ma lei chi è?”

“Lei è l’unica che ha deciso di seguirmi, una schiava del demonio, succube della lussuria, ma io le ho fatto provare la gioia del pentimento, fino in fondo e lei ha deciso di venire con me, per provare quella gioia ogni giorno.”

“Sono compiaciuto, Guglielmo.”

“Santità, ora che l’ordine è ristabilito, qual è il prossimo compito?”

“Invadere la Polonia, Guglielmo, invadere la Polonia.”

giovedì 27 marzo 2008

Buoni Propositi.



Sono stato tante persone, roba che un disturbo bipolare è un gioco per dilettanti. Scherzi a parte, negli anni molti sono stati i miei caratteri dominanti che si sono susseguiti nel tempo: timido, disilluso, insicuro, cinico, razionale, curioso, esuberante, sfacciato, comprensivo, altruista, forte, debole, speranzoso, triste, mesto, esplosivo…
Periodicamente, faccio il tagliando e tiro le somme, smusso, correggo, aggiusto il tiro, faccio le pulizie di primavera. Qualcosa lo butto, altre le conservo. Tutto questo quando sento di essermi spinto troppo oltre il punto di equilibrio e l’ago della bilancia pende inevitabilmente da una parte.
Questo è uno di quei momenti e devo essere sincero, è forse il più complicato che mi sia capitato ed altrettanto sinceramente, non sapete quanto mi sia rotto il cazzo.
Comunque, conscio di alcuni punti fermi che voglio tenere e speranzoso nell’aiuto datomi dalla Dottoressa Basile, faccio una lista di buoni propositi e la rendo pubblica nel caso dovessi rendermi conto di fare il cazzaro:


- Lavorare moltissimo sull’autostima per incrementarla.

- Accettare il fatto di essere un po’ troppo sensibile.

- Recuperare un po’ di sano cinismo.

- Recuperare molta della mia autoironia che latita da un po’.

- Smettere di guardare commedie romantiche e riprendere l’horror.

- Continuare ad amare e rispettare senza sosta le persone che amo.

- Pretendere rispetto proprio da loro.

- Smetterla di dipendere dal giudizio altrui.

- Ritornare ad essere una persona che sta bene da sola ma che preferisce essere in compagnia e non una persona che vuole stare da sola ma muore se non è “cercata” dagli altri.

- Focalizzare il fatto che se capitano giornate storte, questo non vuol dire che saranno sempre storte.

- Aiutare in tutti i modi le persone che amo se queste stanno male, ma non sentirmi in colpa se non ci riesco.

- Capire se qualcuno non mi vuole.

- Imparare a dire “NO”.


Questa è la parte difficile, ora quella semplice:


- Riprendere a fare sport in modo costante.

- Riprendere a suonare come ho sempre fatto.

- Continuare a scrivere.

- Continuare a studiare e laurearmi in tempo.

- Smettere di piangere o, almeno, farlo con moderazione.

- Smettere di parlare dei cazzi miei su questo blog se non in forma di racconto autobiografico.

- Far capire ai miei amici che sono importanti è che ho bisogno di loro.

- Ricordare alla mia donna che la amo tantissimo, ogni giorno, fino a quando mi sarà possibile.


IMPORTANTE:

- dire un bel “vaffanculo” a chi non ricambia di almeno la metà il mio impegno nei suoi confronti (non ce l’ho con te, tesoro!).

Ok, con questo pongo fine a quella tipologia di post che il buon Recchioni etichetta col termine azzeccatissimo di “paturnie”.

Ah, la foto apparentemente non c’entra un cazzo, ma in realtà è uno dei miei punti di riferimento, con un pizzico di John McLane in più, però!

Hem, sinceramente non ho la più pallida idea di quanto ci metterò a fare quello che ho in mente di fare, ma sono dettagli…o no?

martedì 25 marzo 2008

Lo sapevate che...





Quanto segue è un breve riassunto di un paio di paragrafi del testo "PSICOLOGIA" di Peter Gray.

Sigmund Freud ha definito la maturità emotiva come la capacità di amare gli altri e di svolgere un lavoro che gratifica. Erik Erikson ha affermato che la capacità di stabilire relazioni improntate sull’intimità e su cure affettuose, e la capacità di trarre soddisfazione dal proprio lavoro, sono i compiti principali che ogni persona deve affrontare nelle fasi iniziali e intermedie della vita adulta. Alcuni psicologi ritengono che la maturità dell’età adulta faccia seguito a una sequenza predicibile di crisi, o problemi, a cui la persona deve dare soluzione, mentre altri sostengono che nella nostra cultura questa fase dell’esistenza sia estremamente variabile e imprevedibile. Ma secondo praticamente tutte le teorie proposte su questa fase dell’esistenza, prendersi cura degli altri e avere un’attività lavorativa gratificante, sono i due fili di cui è intessuta la trama della vita adulta…
…la nostra è una specie romantica. In ogni cultura di cui si è a conoscenza è descritta l’esperienza dell’innamoramento…studiando l’amore romantico nell’ottica dello sviluppo della persona, alcuni ricercatori sono giunti alla conclusione che esso sia simile nella forma, e forse anche nei meccanismi biologici sottostanti, all’attaccamento che i bambini molto piccoli sviluppano verso i genitori. In entrambi i tipi di relazione hanno un ruolo essenziale il contatto fisico, le carezze e il fissarsi intensamente negli occhi, e spesso sono comuni anche il cooing (categoria di suoni prodotti dal bambino intorno ai 2 mesi, che consiste in serie di vocali ripetute) e l’uso di un linguaggio infantile. Quando la relazione amorosa funziona bene, nei partner regna un sentimento di reciproca fusione e prevale un senso di esclusività, ovvero la sensazione che la persona amata non possa essere sostituita da nessun altra. I due partner si sentono più sicuri e confidenti quando sono insieme e lo stare separati può provocare segni fisiologici di sofferenza. Il legame emotivo non è semplicemente un sottoprodotto di gioie condivise; nelle coppie sposate da lungo tempo può esistere anche quando i due partner hanno pochi interessi in comune. A volte il legame rivela tutta la sua forza solo dopo la separazione o il divorzio o la morte di uno dei partner. In tal caso si osservano molto frequentemente gravi stati di ansia e di depressione, sentimenti di solitudine o di vuoto affettivo che non vengono alleviati neppure dalle premurose attenzioni degli amici più cari e da una vita sociale molto attiva. Come nella prima infanzia, anche nelle relazioni amorose dell’età adulta l’attaccamento si può classificare in:

1- SICURO- caratterizzato da senso di fiducia e benessere
2- ANSIOSO- eccessiva preoccupazione di essere o non essere amati dall’altra persona
3- SFUGGENTE- scarse espressioni di intimità o dall’ambivalenza nell’impegno

Nel Nord America, una quota compresa fra la metà e i due terzi dei matrimoni finiscono in un divorzio, e persino tra le coppie che non divorziano i matrimoni infelici sono molti. Perché certi matrimoni funzionano ed altri no? Per rispondere a questa domanda i ricercatori hanno condotto confronti sistematici fra coppie felicemente sposate e coppie il cui matrimonio è infelice.
La confidenza, l’impegno e lo stile con cui si affrontano i problemi sono sicuramente alcuni ingredienti fondamentali della riuscita di un matrimonio. Un dato che emerge costantemente da interviste e questionari è che le coppie felicemente sposate affermano di “piacersi” a vicenda e di considerarsi non solo coniugi, ma anche ottimi amici e confidenti. Nel descrivere le proprie attività entrambi i partner tendono ad usare più spesso il pronome “noi” invece di “io”, e attribuiscono maggiore valore alla reciproca interdipendenza che all’indipendenza individuale. Inoltre, ognuno di questi coniugi afferma di aver riversato nel matrimonio una notevole dose di impegno e di essere disposto a spingersi ben oltre che a metà strada con le mediazioni, pur di far sopravvivere la relazione ai momenti di difficoltà. Divergenze e discussioni sono frequenti nelle coppie felici come in quelle infelici, ma avvengono in modo più costruttivo. I partner delle coppie armoniose si ascoltano, prestando reale attenzione al punto di vista dell’altro; concentrano gli sforzi sul focalizzare il problema anziché sul volere “vincere” o dimostrare che l’altro è in errore; mostrano rispetto anziché disprezzo per l’opinione dell’altro; evitano di rinfacciarsi eventuali torti o offese subiti in passato e che non hanno alcuna attinenza con l’argomento su cui stanno discutendo; intercalano commenti positivi o battute di spirito nella discussione, allo scopo di alleviare la tensione.


È da molto che volevo pubblicare questo passo. Lo faccio solo ora perché prima non ne ho avuto il tempo!
Certo, quanto avete letto va preso con la giusta elasticità. Se non usate il pronome “noi” o se vi scannate a morte rinfacciandovi l’impossibile non significa che dobbiate separarvi dal vostro partner. Semplicemente, si è notato che, statisticamente, le coppie che funzionano hanno questi elementi in comune. Sarebbe bello avere una ricetta, un decalogo, un manualetto per perfetti ignoranti che ci istruisse su come scegliere la persona giusta e come tenersela vicino. Ma alla fine, perché rovinarsi il gusto di vivere ed utilizzare un manualetto?

venerdì 14 marzo 2008

-THE BAND- sottotitolo: DONKEY RACE - (Parte tre)



Allora, dato che ho intenzione di andare per le lunghe con questo racconto, nel senso di curarlo, delineare per bene la psicologia dei personaggi, arricchirlo di eventi e di mostrare il mondo del musicista semi-professionista (che conosco bene). Dato che ho ben delineata la storia e so dove voglio andare a parare, vi chiedo una cosa:

Volete che continui a postare questo racconto oppure mi faccio i cazzi miei e me lo tengo nella cartella dei documenti, considerando che comunque continuerò a scriverlo?
Potete tranquillamente dire che non ve ne frega un cazzo di leggerlo e preferite racconti brevi e di altro genere...sono qui per questo!!!

Intanto, ecco la terza parte.



Sabato, ore 9:00.
Appunti per il futuro:
Mai tornare a casa all’una passata di notte e mettersi a vedere un film di due ore e mezza se la mattina dopo ti devi svegliare alle nove.
Almeno, la mattinata è stupenda, c’è un bel sole ed immagino il sapore del caffè che avrò in bocca uscendo dal bar, con quell’aria frizzante novembrina.
Mi vesto comodo. Ci sono alcuni indumenti altamente sconsigliati durante le prove:
Camicia - il basso, col suo peso, ti slarga il collo e te la stropiccia.
Maglie troppo corte abbinate a cinta vistosa - la fibbia potrebbe graffiare il corpo dello strumento.
Jeans stretti al cavallo - se suoni con gambe larghe, ti si schiaccia il pacco.
Maglione di lana pesante - prima o poi, muori per asfissia.
Ovviamente, sono indumenti che vanno benissimo per una serata live, io preferisco jeans, camicia e Converse All Star…anche l’occhio vuole la sua parte.
Prendo il basso e salgo in macchina, il programma è semplice: sosta al bar, caffè, dolci vari da portare alle prove, sigaretta. Arrivo a casa di John e scopro di essere il primo, bestemmio mentalmente pensando alla mezz’ora di sonno in più che avrei potuto fare e mi accomodo sulla poltrona della cucina adiacente alla sala prove.
L’unico modo per restare svegli è instaurare un minimo dialogo, per quello che permette il sonno.
Inizio dolcemente regalando un sorriso a John:

“Sonno?”

“Mmm…”

“A che ora ti sei svegliato?”

“mmm…poco fa.”
Niente da fare, John non è tagliato per la conversazione nemmeno al top delle sue capacità psicofisiche, figurarsi appena sveglio.
Fortunatamente il silenzio è rotto dall’ingresso di Tom e Matt. Il primo cerca di sviare l’attenzione dal suo ritardo, io non gliela mando liscia:

“Buongioooooorno!!! Cosa sono quelli? Pasticcini?”

“Sei in ritardo, Tom.”

“Eh, lo so, ma ho dovuto prendere Matt a casa.”

“Hei! Non provare a scaricare la colpa su di me, ti ho aspettato mezz’ora al freddo!”

Tom ci guarda smaliziato e sancisce la sua penitenza:

“Ok, ok, preparo io il caffè, va bene?”

Vedete, ci sono due categorie di gruppi musicali: le vere band ed i marchettari.
I marchettari sono di regola musicisti da medio bravi fino a molto bravi. Suonano in minimo tre gruppi, per un massimo che dipende dalle capacità organizzative personali. Normalmente si esibiscono con estranei, per progetti musicali buoni solo a far soldi nei locali. Essendo marchettari, sanno di essere fungibili e di conseguenza si attengono alle regole: studiano i brani a casa, sono puntuali alle prove, si adoperano per cercare delle serate, non rompono i coglioni e via dicendo. Unica regola tacita: solo covers, non si suonano brani inediti, troppo impegnativi dal punto di vista interpersonale. In fin dei conti, è un lavoro come un altro.
Le vere band, invece, sono nella maggior parte dei casi costituite da amici genuini. La preparazione di base può essere anche molto disomogenea, con uno o due membri molto bravi ed altri emerite schiappe, ma non si esclude la totalità di assi o di musicisti insufficienti.
Il fatto di essere amici comporta alcuni svantaggi: scarso rispetto delle regole, consci del perdono altrui; inclinazione al cazzeggio; mescolanza di questioni private e professionali non sempre conciliabili; formazione di sottogruppi di affiatamento e democrazia di facciata, con tendenza fisiologica al duumvirato o al triumvirato, dovuto in massima parte alla conoscenza dei punti deboli di alcuni membri del gruppo.
Ok, messa così sembra che sia meglio fare il mercenario, ma suonare con amici ha dei vantaggi inoppugnabili, ma non mi dilungherò. Semplicemente, avete presente l’esperienza del fare l’amore con la donna o l’uomo che amate? Quella sensazione di perdita totale della concezione spaziale e temporale? L’energia, lo stato di profondo benessere, la dimenticanza delle ansie e dei problemi? Il senso di intensa condivisione intima ed emotiva, le vibrazioni, il piacere, il godimento puro? Ecco, è quello che succede a suonare la musica che ti piace con i tuoi amici, o almeno è quello che io provo. Ovviamente, le vere band cercano di sfondare con brani inediti.

Eravamo intenti nel gustare caffè, pasticcini e sigaretta, non necessariamente in quest’ordine, quando la domanda collettiva si fece necessaria:

“Porca puttana maiala, ma Simon, quando cazzo arriva?”

Avrete capito che i Donkey Race si presentano come una vera band.

mercoledì 12 marzo 2008

MALEDETTI RAZZISTI! "LA PESTE A VOI E ALLE VOSTRE FAMIGLIE" (come disse il buon Mercuzio)










Ecco, questa è la mia auto. Una Rover 25, 2000 di cilindrata per 105 cavalli. In sostanza è una macchina media, ma il fatto che sia graziosa, armoniosa, dignitosa, la rende se non proprio degna di rispetto, almeno degna di sana e politicamente corretta indifferenza. Anzi, la mia, in particolare, con i suoi cerchi in lega e le gomme larghe, si mostra anche sportiva e "tosta". Agli occhi di chi si intende di auto è ovvio che si tratta di una vettura media, non tecnologicamente avanzata ma, in definitiva, più che soddisfacente.
Ora, la signora inglese ha deciso di darmi rogne con i seguenti problemi in ordine cronologico:

Rottura del radiatore

Sostituzione della frizione

Rottura di un tubo dell'idroguida

Rottura della pompa del gasolio e della rispettiva centralina.

Ok, passato lo stupore iniziale per dei problemi assurdi per chi, come me, guida bene ed è attento alla manutenzione, mi sono trovato ad aspettare quasi due mesi per l'arrivo dei pezzi che mi servivano. In questo frangente sto guidando la macchina di mia madre, cioé questa:





Ora, ricordate quello che ho detto sulla Rover 25 e la sana indifferenza?
Questo, invece, è quello che mi succede guidando la Panda:

Mi sorpassano a destra, sopra e sotto. Non mi danno la precedenza, mi lampeggiano da dietro, i pedoni non si fermano se vedono che li sto mettendo sotto. Ai parcheggi mi si fermano ad un millimetro dal paraurti posteriore e a due da quello anteriore, con lo spazio per un alice vicino allo sportello e con chiari segni di botta della macchina contigua. Allo stop degli altri mi devo fermare io, i ciclisti mi guardano, procedono, mi riguardano, e mi sorpassano. I piccioni mi cagano in continuazione sul parabrezza, i cani alzano la zampa vicino a tutte e quattro le ruote, non una, un pò per tutte e quattro. Se qualcuno chiede un passaggio, appena mi vede ritrae il pollice. Ai semafori non mi puliscono il vetro nemmeno se lo chiedo per favore, i bambini mi indicano e ridono, quello che ritira i ferrivecchi mi guarda sorridente come un avvoltoio su di una carcassa...

RAZZISTI!!! MALEDETTI RAZZISTI!!!

Quando, poi, mi farò una Ferrari ed andrò in giro a spaccar culi, non dite che non vi avevo avvertiti!!!

martedì 11 marzo 2008

-THE BAND- sottotitolo: DONKEY RACE - (Parte due)




Allora, fa parte del mio carattere iniziare tante cose e perderne alcune per strada, una di queste è un racconto che ho iniziato tempo fa. Si tratta delle avventure di una rock band che prova ad uscire dal brodo primordiale e diventare famosa, cercando, al contempo, di non farsi travolgere dalle vicissitudini della vita. I membri del gruppo sono tutti giovani e poveri diavoli alle prese col mondo, col rock e con le donne...cose di tutti i giorni, insomma. Sicuramente chi ha letto la prima parte l'avrà dimenticata, se cliccate QUI potrete rinfrescarvi la memoria.
Ecco di seguito la seconda parte, sperando di portare a termine l'impegno!

Nota: il contenuto dei dialoghi non rispecchia necessariamente l'opinione dell'autore... : D






Novembre 2005. Mercury Lunge, 217 East Houston Street N.Y.C., ore 23:30 circa, venerdì ovviamente, il giorno dedicato agli eventi live.
Dicono che in questo posto siano passate le più grandi rock band, noi, al massimo, qui ci siamo scolati qualche birra.
Entriamo in due, io e Tom. Lui brucia fino al filtro la sua Marlboro, io mi guardo attorno in cerca di un tavolo.
Optiamo per il bancone.
Il bancone è rock, il tavolo è lento.
Ci sediamo dando il fianco al barista, in modo da avere la sala sotto controllo e poter posare il braccio sul banco. Penserete che due rockers come noi si mettano sotto il palco ad analizzare il minimo pelo pubico della band che si esibisce. Quella è roba da pischelletti, noi ascoltiamo e ci godiamo la serata tra birra, sigarette, chiacchiere e sguardi maliziosi a qualche ragazza. Che diamine! Siamo musicisti, mica nerds!
Tom parte in quarta con le sue pene d’amore, su Francie che lo ha sedotto, abbandonato, umiliato e non se l’è nemmeno scopato.
Gli voglio bene, per carità, ma non ho proprio voglia di ascoltare le sue paturnie e mi divincolo con estrema classe attirando la sua attenzione su una moretta prosperosa seduta non poco distante da noi. Ripeto, con estrema classe:

“Tom, vedi quella? Secondo te, li fa i bocchini?”

“Mmm…non saprei, ma perché, c’è pure chi non li fa?”

“Mah, io ho sempre avuto una mia teoria…”

“Sarebbe?”

“Ho sempre pensato che tutte facessero i bocchini e, sostanzialmente, si sarebbero potute ipotizzare due categorie, quelle che li fanno per piacere personale…

“Piacere personale?”

“Sì, Tom, perché amano il cazzo…e quelle che di norma non li fanno, ma poi incontrano l’uomo speciale, quello di cui si innamorano ed allora non lo vedono più come una cosa sporca, ma come un atto d’amore.”

“Ed ora la pensi diversamente?”

“Non è che la penso diversamente, è che la mia ragazza mi ha detto che ci sono delle sue amiche che non li fanno, anche se sono innamorate, così, perché non vogliono, non sono attirate, sono imbarazzate, schifate, che ne so…sta di fatto che non li fanno.”

“Mio Dio!”

“Eh…ma mica le puoi obbligare, se ti capita la ragazza che non li fa, te la tieni, o al massimo la sfanculi, ma io non la sfanculerei solo per quello…però…”

“Però?”

“Però il bocchino è il bocchino, non scherziamo!”

“Sacrosanto, anche se a me non piace chiamarlo bocchino.”

“No? E come lo chiami?

“Pompino”

“Beh, non c’è molta differenza, è uno dei tanti modi per chiamare la fellatio…”

“Sì, ma pompino mi sembra più delicato e poi, mi rende maggiormente l’idea del movimento…suona bene, senti? Pomp-ino…”

“Tom, tu sei fuori.”

“No, no, dico sul serio. Bocchino, poi, mi fa pensare all’imboccatura degli strumenti a fiato…se dici –bocchino- penso ad un tizio che imbocca un sassofono e non ad una che lo prende in bocca”

“Aspetta-aspetta-aspetta! Se dico –bocchino- tu pensi ad un sax?!”

“Sono un musicista, mica un pornoattore!”

“Ma che c’entra!!! Cristo, il bocchino è il bocchino! Non può non farti venire in mente quello!”

“E che ne so, pensa che se mi dici –grilletto- mi viene in mente il clitoride!”

“Calma…dico bocchino, termine palesemente erotico/pornografico, e ti viene in mente uno strumento a fiato, mentre se dico –grilletto-, innocentissimo termine che indica una parte di un’arma da fuoco, tu pensi al clitoride?!?”

“Sì”

“Gesù, Tom…tu hai qualche problema!”

“Solo qualche?”

“Ah ah ah…dai, andiamo, che stò gruppo fa schifo e domani mattina abbiamo le prove”

“Odio le prove di mattina, mi scombussoli l’intestino con quel basso!”

martedì 4 marzo 2008

Love Bar





Se ti trovi in una città nuova il modo migliore per familiarizzare è entrare in un bar.
Dalla scelta del locale si possono capire molte cose. C’è chi sceglie il posto figo, elegante, bella gente, chi opta per luoghi semplici, minimalisti ma pur sempre ben arredati, chi, invece, preferisce la classica bettola, sporca al punto giusto ma che non tradisce mai.
Tom, primatista in sembianze da uomo qualunque, decise che era venuto il momento di un buon caffè.
In una nuova città un posto vale l’altro ma lui fu rapito da quel piccolo bar giallo tenue, caldo, quasi arancio. Sistemò la tracolla dello zaino sopra la spalla destra contemplando le due ampie vetrine laterali: erano grandi, quadrate, da dietro spiccavano delle tende di raso verde smeraldo e in alto, per tutta la loro lunghezza, grandi vasi che gettavano una cascata di gerani rosa e rossi. Al centro, una porta in legno scuro dalle venature nere e maniglia dorata, non un tavolino esterno, quasi si trattasse di un forte per ripararsi dal mondo che era fuori.
Pensò che fosse troppo femminile, ma la curiosità fu un calcio nel sedere sull’orlo di un precipizio ed aprire la porta fu facile come dire “Ma sì, stì cazzi”.
La buona impressione iniziale fu presto tradita dall’aspetto dell’interno, non che fosse mal arredato, anzi, il pavimento era di cotto e le pareti dello stesso colore dell’esterno con la variante dello stucco veneziano, quattro lampade da muro, due per lato, proiettavano verso il soffitto una luce calda ed accogliente. Quello che disturbava erano i quattro tavoli posti negli angoli di un ipotetico quadrato, un po’ perché erano effettivamente pochi e soprattutto perché pur non essendo occupati, vi erano poggiati bicchieri e quant’altro, sporchi o con bevande a metà, segno che qualcuno aveva consumato e non era passato il cameriere a pulire.
Tom non allungò lo sguardo verso il fondo del locale, che rimaneva ancora fuori dal campo visivo, perché era incuriosito da un particolare: i tavoli erano per due, due le sedie per tavolo e da quello che vi era sopra si capiva che ognuno era stato occupato da due persone.
Avanzò perpendicolarmente all’ingresso guardandosi a destra e a manca cercando di trovare un motivo a quella dislocazione fino a quando si trovò al bancone.
Vi era un vecchietto in grembiule bianco, come i suoi capelli ed i suoi baffi.
Se ne stava in silenzio e sorridente tutto affaccendato nel lucidare dei bicchieri da Martini con un panno asciutto. Una cosa era certa, si comportava come se Tom non ci fosse.
L’omino qualunque sorrise pensando che si trattasse di un vecchio duro d’orecchie ed allora ruppe il silenzio in modo deciso:

“Buonasera.”

“Buonasera a lei” rispose il vecchietto in tutta calma e senza scomporsi di un millimetro.

Tom si stupì, il vecchio aveva tutto sotto controllo e non lo degnava di uno sguardo.

“Senta, se è possibile vorrei un caffè, magari con un pezzo di torta…se è così gentile da liberarmi un tavolo, io mi accomoderei”

“Mi spiace, i tavoli sono tutti occupati”.

Il tono del barista era cordiale, ma decisamente fermo.
Tom si voltò sarcastico verso quei tavoli desolati e vuoti, nei posacenere mozziconi antichi, fumati da troppo tempo.

“Scusi, vuole prendermi in giro? Lo vede benissimo anche lei che non c’è nessuno oltre noi due”.

“Mike, Telma; Steve, Anne; Susan, John; Fred, Alice.”

Otto nomi, il vecchio li pronunciò così, come se ne fosse uno solo, come se fosse il suo.
Tom non capiva ma era abbastanza sveglio e curioso da non gettare la spugna.

“Senta, le ho chiesto solo un caffè e qualcosa da mangiare, sono stanco e vorrei sedermi. È possibile liberarmi un tavolo?”

L’uomo dall’altro lato sorrise sotto i baffi, era paterno ed affabile e da quella smorfia sembrava che fosse il padrone del mondo.

“Mi spiace ma le ho appena detto che i tavoli sono occupati, vede quello dietro di lei, alla sua destra? Lì ci sono Steve ed Anne. Vennero nel 1978, trent’anni fa. Lui aveva vent’anni, lei pochi di meno. Faceva caldo e ricordo che Steve non riusciva a levare gli occhi dalla scollatura della camicetta di lei. Ma non era uno sguardo volgare sa? Nei suoi occhi c’era tutta l’ammirazione per un essere perfetto, non che lei lo fosse, ma per lui era così…dopotutto, perfetto, chi lo è?
Da come Anne si toccava la pancia capii che presto sarebbero stati in tre e fu per questo che le preparai la cioccolata calda che mi aveva chiesto con tutto l’amore che potevo. Spesso sono solo, lo sono sempre stato e capita che mi metta ad ascoltare i discorsi dei miei clienti, senza malizia, senza giudicare, solo per ascoltare. Fu così che sentii quei due ragazzi promettersi l’amore, quello vero. E vidi le lacrime ed il loro bacio, al cioccolato quello di lei, al caffè quello di Steve. Se ne andarono così, mano nella mano, in silenzio.”

Il vecchio continuava incessantemente a lucidare bicchieri, sempre sorridente, pacato. Tom era muto, perplesso, fece per parlare ma il barista lo anticipò:

“E vede il tavolo ancora dietro, vicino alla vetrina alla sua destra? Quello è di Mike e Telma. Eh, loro si che vennero tanto tempo fa, nel 1949 se non sbaglio. Una coppia sui trent’anni. Lui aveva mani di incudine e martello, il lavoro duro glielo si poteva leggere in volto, ma aveva anche spalle larghe ed il peso del mondo lo avrebbe sopportato bene, almeno è quello che pensai. Lei era minuta, dolce, riservata. Aveva una vita di panni da stirare, piatti da lavare, letti da rifare ed un sorriso da non perdere. I soldi allora erano sempre pochi, per tutti, ma Mike riuscì lo stesso a tirar fuori quell’anello semplice semplice, ché il grand’uomo non lo vedi da quanto costa l’anello per la futura moglie, ma dal luccichio nei suoi occhi mentre lo mette al dito di lei.”

Tom aveva intuito dove il vecchio volesse andare a parare ed allora incrociò le braccia e lo lasciò fare:

“Poi, verso l’altra vetrina, beh, lì ci sono Fred e Alice. Quanto chiasso che fecero quei due, sia fuori che dentro. Alice guidava un bel macchinone, di quelli europei che costano bei verdoni, ma si sa, più costa la tua auto, meno sei capace a guidarla. E così la bella Alice nel parcheggiare fece dei danni all’auto di Fred. Lui sbraitò a lungo, erano proprio qui davanti al bar, ma spesso il sorriso passa anche attraverso degli occhi accigliati ed il buon Fred conciliò con un brindisi.
Parlarono a lungo, da Bush padre e la guerra del Golfo ai giochi che facevano da bambini. In fin dei conti, una bella coppia, lei bella ed elegante, un avvocato in gamba, da quanto ho capito, una di quelle che si è fatta da sola, senza l’aiuto di nessuno e lui uno di quelli nato nell’epoca sbagliata, un sensibile romantico. Niente di speciale, ma io ho l’occhio lungo e due sconosciuti che passano una vita insieme in un secondo non li vedi tutti i giorni. Se ne andarono ubriachi fradici, tenendosi la mano.”

“Manca l’ultimo tavolo” fece Tom, ormai divertito.

“Quello è di Susan e John. Non ci crederà, ma sono venuti proprio ieri. Coca-Cola e patatine, brufoli, converse all star e zainetto della scuola. Ridono, scherzano, non sanno che il mondo è difficile, ma hanno capito che in due è meglio. Lui vorrebbe avvicinarsi e darle un bacio e sa che fa? Si avvicina! E si danno un bacio che ai tempi miei te lo censuravano anche nei cinema per adulti, ah…i ragazzi di oggi, imparano che devono usare il profilattico prima di camminare!”

“Ed ora? Che fine hanno fatto tutti loro?”

“Steve ed Anne si apprestano a festeggiare le nozze d’argento, hanno una bella casa, figli e se Dio vuole, avranno qualche nipotino; Mike e Telma, eh…lei non c’è più, se ne andata due anni fa, dopo una vita insieme al suo Mike, ma lui la ama ancora, quella è la promessa che le fece qui, su quel tavolo, di amarla per tutta la vita e finché la promessa è mantenuta, Telma è viva; Fred ed alice se la spassano alla grande, non si sono sposati ma convivono da tempo, si amano tanto e tra alti e bassi, è come se si fossero appena conosciuti; quanto ai piccoli John e Susan, beh, è presto per dirlo, ma il loro amore brucia e quel tavolo non si tocca.”

Tom, sorrise e ringraziò.
Uscì dal bar con le mani in tasca, guardando quei tavoli vuoti. In un attimo pensò a quelle coppie, al loro amore promesso in quel luogo, tra una bevuta ed una sigaretta. Al vecchio, un custode, un barista o un pazzo. Pensò all’amore di una vita, quello che ti cambia e che un po’ lascia il segno, magari in un piccolo bar, dove fino a quando ami, quel posto è tuo e nessuno te lo può rubare.
Sul ciglio della porta, solo un secondo, una domanda:

“Ma lei chi è, e come fa a sapere queste cose?”

Per la prima volta il vecchio sollevò lo sguardo verso Tom, guardandolo con occhi eterni.

“Ha importanza?”

“No, non ce l’ha.”