lunedì 30 aprile 2007

Buon Compleanno...a me.





10:30. Il telefonino vibra come uno scarafaggio a pancia in su ed il nostro amico, inevitabilmente, è costretto a svegliarsi. Solo che il movimento lento da non-morto impedisce la risposta, ennesima beffa.
Immagino che vi chiediate chi è “il nostro amico”, beh, non ve lo dico.
Come “perché?”. Non mi va, mi sembra ovvio.
Risveglio confuso, studiare – scrivere – suonare - che impegni ho - un momento…nessun impegno.
Eh già, oggi è il suo compleanno e ha deciso di congedarsi da mille occupazioni, dopotutto, che male c’è?
Il pensiero di questo giorno importante apre una parentesi infinita, come la scritta “pause” in quel gioco tridimensionale che è la sua vita.
Cerca nello specchio il sorriso da un milione di dollari, ma il bastardo non glielo restituisce, pazienza, ci penserà dopo.
La domanda è di quelle fastidiose, come il prurito molesto di una bolla di zanzara, quando non fai in tempo a lamentarti dell’afa di metà agosto, che devi correre a prendere una pomatina.
“Devo per forza essere contento il giorno del mio compleanno?”
Che ognuno dica la sua, io mi astengo.
Il cotone della camicia azzurra ha la freschezza di un bacio che sa di gelato al cioccolato, è piacevole, e lo fa sembrare adulto e piacione, un animale da rimorchio, ma non è così che si sente.
Il tempo, tra un bottone e l’altro, è troppo. Si gira verso tanta carta in bianco e nero, vorrebbe avere la forza di Batman, il fucile di Garrett, il pugno pesante di Marv, la poesia di John, ma si ritrova la malinconia, l’insicurezza e la dolcezza di Dylan…che a ben vedere, non è poco, anzi.
Fin troppo facile pensare a quando era piccolo, ed il giorno del compleanno era nell’aria già da due mesi prima.
Vestito bello, sorriso sincero, curiosità genuina, auguri, baci, abbracci, e poi torte, candeline (poche) da spegnere, pacchi con fiocchi, carta da strappare, scatole colorate che promettono ore felici, giocattoli, grazie a tutti, vi voglio bene mamma e papà.
No, non c’è più nulla del genere, è triste, non c’è dubbio, ma quei giorni sono passati, li hai vissuti una volta e ti deve bastare.
Per tutta la vita.
Stava pensando questo, e il famoso sorriso da un milione di dollari era scappato a fare l’extracomunitario in un bus alla Magliana.
Beh, non fa niente, almeno il nostro amico se l’è goduta finché ha potuto.
Ancora pensieri.
Questa volta ad un professore scrittorone, cento chilometri a nord, a come vorrebbe offrirgli da bere e fare un brindisi.
Alla prossima, c’è tempo.
No, non è vero il tempo non c’è mai, ma bisogna anche illudersi un po’, che diamine!
Alla fine si convince che dovrà per forza indossare una maschera, una di quelle pesanti, che non riesci a respirare…esistenza coperta di arglilla, sorriso finto e animo nel cassetto.
Grande festa in serata, si beve, si mangia, si ride, risate smodate e brindisi!
Immagino che stiate pensando ad una festa in suo onore, mi spiace deludervi, ma il festeggiato è una persona diversa, eh, non può mica pensare di essere nato solo lui quel giorno!
La vita a volte è bizzarra.
Però, un momento…
Gli amici, quelli veri; mamma e papà, e zio e nonna; la sorellina speciale; e quella ragazza fantastica, che devi pompare al massimo i muscoli dell’immaginazione per pensare ad una come lei.
Loro ci sono, sono veri, e cazzo, gli vogliono bene.
La mente va a quella ragazza con una tortina col cuore di biscotto e senza lattosio chè è intollerante... ed una candelina.
Ha il sorriso accogliente, da dea, e un profumo che ti fa sentire leggero, etereo.
Più ci pensa e più la vita è a colori.
“Nessuno ha mai detto che loro debbano esserci, e se ci sono sei un fottutissimo fortunato, riflettici”.
Ma sì, fanculo la maschera…un sorriso fa capolino.
Non sarà quello da un milione di dollari, ma è vero, e sentirselo dentro lo riscalda come un abbraccio carico di sentimento e di belle parole.
Esce e piove, non fa niente.
Esce e un po’ fatica a mantenere il sorriso, ma almeno quel poco è sincero.
Esce e sa che lei lo aspetta, ed è contento.
Esce e poi si vedrà…
Esce e…“Ma sì, fanculo…buon compleanno a me!”.

martedì 24 aprile 2007

il vostro amichevole Yuppie di quartiere.




“Young Urban Professional”.
No, tesoro, non dirlo.
“Sei uno Yuppie”.
Oddìo, non dirlo che mi eccito, e si sa, se mi sale l’ispirazione va a finire che ci rimetti qualcosa, che ne so, un dito, l’orecchio, o potrei strapparti il tuo bel clitoride con una pinza. Sai, è tutta cromata, se fosse di Armani sarebbe certamente meglio, ma non pensiamoci, o va a finire che mi arrapo sul serio!
La Manhattan metà anni 80 è una Wonderland di giacche dalle spalle larghe, portafogli panciuti dal sorriso verde e grinzoso, abiti con testa di Medusa, valigette di pelle (i più fortunati l’hanno di pelle umana), puttane per uomini grandi ma votati a piccole labbra.
Scivolo viscido su skate mentale, Phill Collins e electro drum in vena, colletto bianco, ma così bianco da mandare a cagare la neve, il ricordo di uno schizzo di sangue, quello della sera prima, ed eccomi nel regno: Wall Street.
Mille volti in teca, oggi ho preso quello indifferente - non so - prenoto un tavolo al Dorsia – ti scopo con lo sguardo – poi osservo come sei foderata dentro.
Avevo appena pensato alla serata perfetta, una di quelle dove, se ti va di lusso, incontri Donald Trump, quando arriva quel macaco: Mark, Matt, Mac? Mah, l’ho detto che oggi o preso il volto “non so”.
Ha la narice color ciliegia, e scommetto che non è raffreddore, nulla di strano per un tipo “Papà, mi hanno sbattuto da Harvard perché mi sbattevo il mio amico, puoi vedere se c’è un buco di culo a Yale?”
Mi sfida con occhi di marmo, ed ecco che si consuma la tragedia, mi mostra il suo biglietto: è perfetto, una tonalità di bianco indefinito, ipnotico, lo stomaco è pronto a restituirmi la colazione, tanto è il disagio; taglio perfetto, angoli mistici, a metà tra il vivo e l’arrotondato; rilievi da spasmi microtech, e quel carattere duro, nero, così deciso da trascinarti ad esso fino a farti sbattere il muso.
Sorrido, quando vedo l’orrore: la filigrana!
Quel fottuto biglietto da visita ha la filigrana!
La bocca sorride ma gli occhi sono troppo giovani e delicati per nascondere l’indignazione, l’angoscia dell’invidia e la voglia di scaraventarmi su quel bel faccino, infilare le dita nelle orbite fino a sentire lo splash dei bulbi, tremo tutto al solo pensiero.
Lo seguo nel bagno.
Faccio a Squash con i miei pensieri: due mani attorno al collo o gli frantumo il grugno su orinatoi per piscio da cento dollari a cl?
Ho un gessato da non macchiare, vada per lo strangolamento.
Mi vede dallo specchio, sorride, sorrido.
Il resto è un quadro pop art, strabuzza gli occhi mentre gli rubo istanti di vita preziosi, non oppone resistenza, lo yuppie muore con classe!
Schiumo bava che sa di gioia, sorrido e gli racconto di come i Duran Duran riescano ad incanalare nelle loro melodie il gusto di anni futili, di come mi senta tutto eccitato e che me lo scoperei a sangue se solo fossi più donna e più troia, tanto è bello nell’istante in cui muore.
Beh, qui ho finito…credo che prenoterò al Dorsia, magari invito Bret Easton Ellis.
Ah, dimenticavo: “mi chiamo Patrick Bateman, broker di professione, maniaco per diletto, potrei invitarvi a bere qualcosa, lasciatemi pure il vostro biglietto da visita…”

sabato 21 aprile 2007

Vola Lupin, vola...



“seno, vita, fianchi…tesoro, non puoi sbagliare!”
mmm…110 sinistra; 60 destra; 90 sinistra e Tlak, ancora una cassaforte violata!
Cara, dolce, velenosa Fujiko una combinazione mozzafiato, se solo potessi aprirti come un vano blindato.
Ancora una meraviglia sgraffignata, una melodia di scassi, strisciate furtive, adrenalina assaporata.
Giacca rossa o verde? Mah, non so.
Il furto ha i colori dell’arcobaleno, ma io, in fondo, ci vedo i tuoi occhi: un mare sopra i monti, cielo liquido che cola come la mia bava quando ti vedo, così morbida, letale e perché no, anche un po’ porca.
Una corona d’oro, l’ennesimo lingotto, una tela orfana da accudire.
Telo come un gatto verso il topo, cuore da leone e faccia da scimmia, ma che ci volete fare, anche così, va a meraviglia.
Ma a ben pensarci, le meraviglie del mondo sono altre, ed io le ho tutte.
Le meraviglie hanno una barbaccia ispida, lanciano segnali di fumo da una sigaretta sbilenca e non parlano mai, se non attraverso una Smith & Wesson. Ogni tiro è un centro ed ogni centro è fatto a caso.
Le meraviglie hanno sandali di legno secolare, la forza e l’onore di mille samurai allineati in una scatola per sardine e la spada improbabile dal taglio impossibile.
L’altra meraviglia ti scioglie il cuore, lo fonde come l’anello nel Monte Fato e lo rivolta come un calzino per poi ridartelo tutto ciancicato. Ha seni su cui dormire e sognare, sogni a luci rosse fatti di guepiere, e balze e tacchi alti, carezze morbide che se le vuoi dietro devi penare.
Ora, in fuga, mi giro un attimo, uno solo e le vedo: tutte queste meraviglie al mio fianco.
Rimbalzo col mio macinino giallo su nuvole di zucchero filato, fuga in derapata dal sorriso birichino e lo sguardo alla Bruce Willis.
Fuggo ma non scappo, perché è questo che amo.
Uno sguardo millimetrico allo specchietto ed ecco la gioia della mia vita.
L’ultima meraviglia, “papà Zenigata”…eh, se non ci fosse.
Andò sta Zazà, uè maronna mia…
È il tratto sulla tela, lo scalpello sulla pietra grezza, le note sul pentagramma.
Io scappo, sì, ma non mi prenderà. Perché sono bravo? No.
Il macinino è stretto, il ladro al volante, pistolero di fianco, le tettone di dietro e la spada sul tetto.
Via, via così, verso il sole del tramonto marino…in fuga per sempre, dalla sera al mattino.

mercoledì 18 aprile 2007

comunicazione di servizio

Non avevo notato che potevano lasciare commenti solo gli utenti registrati.
Ho ovviato a questa restrizione, in modo che anche i miei amici sforniti di blog possano lasciare, se vogliono, un commento!

martedì 17 aprile 2007

Lancia la trappola Venkman!!!



Tim ha otto anni, e crede ai fantasmi.
Ci crede perchè ha visto Ghostbusters in un vhs regalatogli per il compleanno.
Tim ha un bel pancino tondo che gli gonfia un po’ la maglietta, lo sguardo tenero e i capelli scuri.
È buono, dolce e ha un pizzico di ingenuità che non guasta mai.
Forse è per questo che si sente tanto il Dr. Raymond Stanz.
Ma Tim non è solo, no.
Ha dei validissimi compagni di squadra, non importa il loro vero nome.
Per lui saranno sempre il Dr. Peter Venkman, il Dr. Egon Spengler e l’ultimo arrivato, Winston Zeddmore.
La sera è il momento migliore, i vampiri escono dalle loro tane, le streghe dalle case di marzapane, i sette nani vanno a nanna e, ovviamente, i fantasmi si fanno una birra al pub, che ci sta sempre bene!
È in questo punto della giornata che Tim e la sua squadra va a caccia.
Ma non si può andare a cercar fantasmi così, a mani vuote, fortuna che i nostri piccoli possiedono degli zaini speciali: di giorno servono a contenere libri, quaderni, astuccio e diario.
Ma di notte, di notte è diverso.
Levati i libri, con un po’ di terra magica del giardino di Tim, diventano degli Zaini Protonici, sì, come quelli del film.
In mano un fucile di legno, preparato con il nastro adesivo fatto della materia dei sogni, il caricatore che spara polvere di stelle ed uno sputo di fantasia, per amalgamare il tutto. Zaino in spalla vanno nel fienile vicino casa, e lì inizia la loro battaglia.
Certo, il fienile di notte fa un po’ paura, ma loro sono un team, sono amici, e si copriranno sempre le spalle, perché si vogliono bene.
“Lancia la trappola Venkman!!!”
ed ecco che una scatola per calzature con corda attaccata libra nell’aria, si posa a terra ed è pronta ad ingoiare tonnellate di ectoplasma, che spettacolo!
“Ottimo lavoro Ray”
“Grazie Peter, ma ora di corsa al dispositivo di stoccaggio, la trappola potrebbe cedere…”
Tim non ha più otto anni.
Il Dr. Venkman, Spengler e Winston sono lontani, troppo lontani.
Lo zaino, sempre pieno di libri pesanti e difficili da capire, non si svuota più, e forse ha anche dimenticato come si diventa uno Zaino Protonico.
Ma Tim, appena può, accende lo stereo e mette su uno dei tanti brani della soundtrack della sua vita: “ para- pa-pa-para- para-para-para…Who ya gonna call? GHOSTBUSTERS!!!”

giovedì 5 aprile 2007