giovedì 4 agosto 2011

Il Piano C. #1 - Il Piano A, pt.1 -



Il prossimo a fine agosto. Magari inizio settembre. Buone vacanze!



Come dicevano i Toto in Stop loving you, “time passes quickly and chances are few”,
quindi non voglio dilungarmi sul primo Piano della mia vita, anche perché nella sua elaborazione c’entro ben poco.

Già, perché il Piano A veniva plasmato in tempi non sospetti. Che ne so, andavo male in matematica? Il Piano prendeva una sua precisa piega. Mostravo buone doti nel parlare davanti a molte persone? Ecco che una nuova indicazione stradale segnava la giusta via; anche se spesso non è un vero e proprio cartello stradale, il più delle volte le indicazioni assumono la forma di un signore con i fondi di bottiglia sul naso e duro d’orecchie, affacciato al finestrino della tua auto, goffo nel non far cadere i quotidiani ripiegati sotto al braccio:

- Diritto fino alla rotatoria, la percorri tutta, esci da dove sei entrato e torni dietro. Poi, prendi la prima a destra. Dove c’è un vecchio negozio di frutta e verdura giri ancora a destra, e prosegui dritto fino al semaforo. A destra del semaforo c’è un bar, Bar Centrale mi sembra, sì, è quello con un orologiaio di fianco, ecco, a te non te ne frega niente, vai a sinistra e prosegui. Non la prima, non la seconda, non la terza, alla quarta a destra giri e prosegui. Passi il tabacchi, la pizzeria, il giornalaio e il bar e giri a destra, prosegui dritto e all’incrocio a destra.

Sì, una cosa del genere. Comunque, indicazioni a parte, il Piano A non è che viene su da solo, no… c’è qualcuno che trama alle tue spalle. Sempre loro, mamma e papà, che in questo caso suona un po’ come Bonnie & Clyde; e sono anche bravi, sapete? Talmente bravi che il Piano A in origine non è un piano, è carta bianca, con dei piccolissimi divieti e postille: non frequentare determinati soggetti; non leggere determinate cose, vedere determinati films, ascoltare determinata musica; scegli la scuola che ti pare, possibilmente non quella, né quella lì, né quella là.
Anche per voi è stato così, vero? I Piani A si somigliano un po’ tutti, non c’è da disperarsi, è la vita.
Quanto al mio, ero sul rettilineo a trecento all'ora, e ad una tale andatura non pensi che la curva arrivi presto, non così presto. Mi ci avevano buttato loro a quella velocità, sì, Bonnie & Clyde, ed io ero stato bravissimo a gestire la situazione: avevo fatto tutto il liceo classico con ottimi voti, buon inserimento tra i compagni, qualche nota che ti rende figo, innumerevoli sogni erotici su tutte le ragazze più carine della scuola, alcuni dei quali realizzati (ricordate Sabrina?), e innumerevoli figure di merda collezionate in cinque anni, fino al giorno in cui,  lanciato a razzo, arriva il curvone a gomito; mi piacerebbe dire che è arrivato all’improvviso, che ero distratto, ma non è così. Non avevo mai pensato seriamente a cosa diavolo avrei dovuto fare della mia vita dopo le superiori, e sì che era un tassello importantissimo del Piano A.
Bonnie mi vedeva ad architettura, psicologia e medicina, specializzazione: ginecologia. Clyde era un maschio, puntava alla conservazione della specie: giurisprudenza, “all in”. Io non vedevo. Avrei aperto un negozio di dischi, ho sempre adorato la musica, tutta la musica. Tutta poi, non consideravo la musica leggera italiana, la taranta e quella roba lì, il country, la musica impegnata di gente che scrive bene, suona male e canta peggio ma che “hey, non provare a toccare quelli lì ché ci fai la figura dell’ignorante”; ci sarebbe dell’altro, ma col tempo sono diventato molto più elastico. Avrei anche aperto un negozio di scarpe, da donna. Immaginavo scaffali e piedistalli con calzature dai tacchi di ogni forma e misura – minimo dodici – e donne dalle gambe affusolate che sfilavano col loro prossimo acquisto ai piedi; ma mi resi subito conto che l’idea era al confine col film hard dei miei sogni e che non ero proprio io a volerlo ma il feticista che era – è – in me. Quindi, dopo il diploma di maturità, considerai questi elementi: lavoro dietro una scrivania, splendidamente remunerato e che non prevedesse il salvare vite umane o evitare loro la galera. Era come voler costruire un castello con le carte da gioco e ritrovarsi a fare la V rovesciata con due sole di esse.
Scelsi economia e commercio.
Vorrei potermi inginocchiare come John Belushi in The Blues Brothers e gridare in lacrime: “Ero rimasto senza benzina. Avevo una gomma a terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi. La tintoria non mi aveva portato il tight. C'era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C'è stato un terremoto! Una tremenda inondazione! Le cavallette! Non è stata colpa mia! Lo giuro su Dio!”.
Era stata colpa mia: ‘fanculo il Piano A.


(continua…)