lunedì 31 dicembre 2007

Per affetti, amici, compagni di penna, fumettari ed aspiranti tali: BUON ANNO!!!




Allora, ultmo giorno dell'anno: tempo di bilanci e ringraziamenti.
La prendo alla larga, il 2007 mi ha dato del filo da torcere soprattutto per il mio stato di salute. Non è stato facile sopportare di dover prendere delle medicine appena alzato, a metà giornata ed alla sera (lo faccio tutt'ora). Non è stato facile vedere l'ago della bilancia scendere vertiginosamente fino ad arrivare a 56kg, che per un maschio ventisettenne alto un metro ed ottanta è veramente poco. Non è stato facile scoprire di non riuscire a mangiare, combattere con gli attacchi di panico, le crisi di pianto e la voglia di isolarsi. Non è stato facile vedere la mia vita sociale decimata a causa dei sopraindicati problemi, proprio io che sono un compagnone molto vitale...no, non è stato facile.
Però sono un figlio di puttana fortunato...e determinato.
Determinato perché ho stretto i denti, ho continuato a studiare, a suonare e, ringrazio Dio, ho deciso di iscrivermi al corso di sceneggiatura per fumetto. Determinato perché per andare al corso mi facevo in totale 250 km, a digiuno per tutta la giornata. Determinato perché se una cosa mi appassiona non ci sono cazzi che tengano.
Fortunato.
Fortunato perché senza le persone che mi sono vicine sarebbe stata durissima, no...impossibile.
Fortunato perché senza l'assist dei miei genitori non avrei mai trovato la forza per cambiare facoltà ed iscrivermi a quella di psicologia.
Fortunato perché si sa, lo psicologo serve, ma quando sei tu a doverci andare la gente ti guarda strano, e nessuno mi ha guardato in quel modo.
Insomma, fortunato per tantissime cose.
Veniamo a noi...
Il mio blog è partito con umiltà e con la propulsione della voglia di fare ed imparare.
Grazie ad esso ho scoperto un mondo fatto di gente bellissima, sì, proprio voi che mi leggete e commentate e che a vostra volta scrivete e disegnate.
Un mondo fantastico che ha il sapore di inchiostro e sudore...i fumetti.
Questo mondo è fatto di gente che si impegna e ci crede e proprio a voi vanno i miei auguri per il prossimo anno.
Spero che abbiate molto da lavorare, che la vostra mente sia chiamata spesso a creare e che troviate immensa soddisfazione in questo, senza mai perdervi per la strada. Spero che i vostri lavori siano apprezzati e trovino il giusto riconoscimento. Spero che il vostro umore sia sempre ottimale per godervi la vostra vita nel modo che vi sembrerà più appropriato. Spero che un giorno possa stringere la mano ad ognuno di voi, magari ad una fiera del fumetto, perché no.
Spero che non vi stanchiate mai di creare mondi nuovi, di dare forma alle vostre idee, di emozionarvi ed emozionare.
Lo spero con tutto il cuore...Buon Anno a tutti voi!

Infine, devo assolutamente ringraziare due figure chiave di questo 2007.

LORENZO BARTOLI:
Per essere stato un ottimo insegnante, un amico ed un consigliere. Per essere stato sempre imparziale e giusto. Per avermi tolto il tappo che avevo nella mente. Per avermi dato fiducia ed incoraggiato. Per avermi stimolato a mettermi in gioco. Per non avermi elogiato ma fatto capire che c'è da lavorare sodo. Per avermi fatto capire che in squadra si lavora meglio (e qui saluto i miei compagni del corso!) Per avermi confermato che se ti guardi attorno ci sono veramente delle belle persone...e per tanto tanto ancora.

ANTONELLA DEL GRECO
Lascio per ultima la mia ragazza perché è lei la molla, la chiave di tutto quello che ho fatto in quest'anno e mezzo. Mi è stata vicinissima nei miei problemi, mi ha stimolato, appoggiato e soprattutto amato tantissimo. Mi ha fatto provare sensazioni che non pensavo di poter provare. Non la faccio lunga, senza di lei non avrei combinato proprio un bel niente...grazie, grazie infinite.

Quindi, buon anno e buon lavoro a tutti voi...ci ribeccheremo presto con un raccontino e spero con qualche notizia più succulenta!!!


Il Gabbrio.

mercoledì 19 dicembre 2007

Finché c'è amore...



L’odore del caffé al mattino è una donna che ti aspetta vogliosa sul letto: lascia presagire la sigaretta che ti fumerai dopo.
Lui mette il pilota automatico e va in cucina.
Lei è alle prese con la moka.
La guarda e capisce che il movimento nel basso non è causato da una qualche disfunzione idraulica mattutina. No, è proprio vento di passione.
Dato che può, la prende di sorpresa ed il buongiorno si vede dal mattino.
Le casca del caffè sul seno, è caldo, ma non più di loro due.
Lui lo asciuga come meglio può ed alla fine la boccata di fumo è da doppio godimento.
È una giornata da immolare all’istinto e come un cane al tartufo la segue per casa, ché si sa, non si usano solo i cani per andare a tartufi.
La vede china sulla biancheria sporca ed il suo sedere è un tam-tam nella giungla.
I panni si lavano in famiglia e la lavatrice in centrifuga lancia un assist da goal in rovesciata.
La pennica pomeridiana è un piatto di spaghetti aglio olio e peperoncino alle tre del mattino, se si fa in compagnia è meglio.
Ma alla fine, perché dormire?
Passa il tempo e la casa sembra esplodere d’amore, quello del ti guardo-tu mi guardi-non parliamo- ma si capisce che ci amiamo.
Sera. Lui se ne fotte se della fatal quiete è l’imago e le sussurra un bacio delicato.
Lei è tradita da una lacrima di gioia ed una domanda l’assale:

“Ti ricordi il nostro primo bacio?”

“Tu avevi vent’anni, io poco più…lo ricordo come fosse ieri, ed i cinquant’anni passati da allora sono lunghi come un battito del cuore.”

martedì 18 dicembre 2007

LAVORI IN CORSO



Nel caso doveste pensare "ma dove cazzo sto?!?" entrando in questo blog, non preoccupatevi, sono io che sto cercando di cambiargli i connotati e sto facendo un casino pazzesco!!!

Mi scuso per i possibili disagi.

Il Gabbrio.

OK, è natale, ma cazzo...non ci sono abituato!




Quanto tempo ci metterà ad accendersi? Si accettano scommesse...

Povera la mia piccola 25!

mercoledì 12 dicembre 2007

Pixel in love.



Una doverosa precisazione: con alcuni giorni di ritardo mi sono accorto che il titolo di questo racconto è identico a "Lessons in love", racconto postato recentemente dal prof Lorenzo Bartoli.
Scusatemi!
Anche voi però...ditemele certe cose!!!



8,95 metri: record mondiale di salto in lungo maschile…in quel 30 agosto del 1991 Mike Powell avrà avuto i cazzi suoi che gli giravano.

3 scalini di altezza media: il record personale di ritorno a casa con busta della spesa e tacco da 10.
Detenuto da “Shampistaromana”, che con un paio di ballerine ai piedi avrebbe sicuramente raggiunto il record indiscusso di quattro scalini.
Dietro ogni impresa degna di nota c’è sempre un buon motivo.
“Trucidodetorpignattara” è il buon motivo.
Lui è il nero sul bianco, un riverbero nell’aria, un soffio sulla tastiera di un portatile: lui è un blogger.
Lei non lo è, ma legge tutti i suoi racconti.
Le sue parole sono un abbraccio caldo quando fuori piove – Semo Gente De Borgata – il suo manifesto culturale, con la “Q” maiuscola.
Si lascia esplorare dai suoi racconti, fino al punto più nascosto della sua mente, proprio lì, ad un paio di fermate d’autobus prima dell’ipofisi.
Lei legge e sogna.
Immagina quell’uomo dietro la macchina e pensa di vederne l’anima, ma “shampistaromana” ha anche dei bisogni ed allora prova ad immaginarne il corpo.
Chiude gli occhi e pensa a lui come il Davide di Michelangelo, che è molto più maschio di quello di Donatello…ma con almeno venti centimetri di dimensione artistica, e non quell’oliva da Martini che si ritrova tra le gambe.
“shampistaromana” non ha mai capito perché il Davide ce l’abbia così piccolo.
Quel giorno lei saltava le scale esaltata e carica di buoni propositi: per la prima volta gli avrebbe lasciato un commento.
Le cade un occhio a cuoricino mentre attende che si carichi la pagina, poi, lo stupore.

Nuovo post:

- Ce so cascato…-

“Aò, me sposo…mortacci de Pippo!!!”

Il suo amore, il suo Davide superdotato è di un’altra. Lui si sposa.
Bungee jumping lacrimale dal singhiozzìo tubercolotico.
Disperata legge l’unico commento:

“e sti cazzi???”

firmato: ErPatata.

ErPatata è un blogger di quelli tosti, prosa graffiante, i suoi lettori li riconosci dai segni sulla faccia.
"Shampistaromana" è incuriosita dalla sensazione di attrazione istantanea e decide di sbirciare sul suo blog.

Ultimo post:

- Shampista romana cercasi –

lunedì 10 dicembre 2007

Comic Life regala bei momenti (tanto per farci due risate!)

Allora, terminato l'esonero di neurofisiologia mi sono ritrovato con un pò di tempo in più ed ho deciso di giocare con Comic Life, un programmino stupido stupido per fare fumetti divertendosi. Ho scelto di utilizzare la prima storia sceneggiata da me al corso di sceneggiatura. L'originale prevede 5 tavole, qui me ne sono venute quattordici!!! Questo perche non è che vai su internet e trovi le foto che descrivono pienamente quello che hai scritto in sceneggiatura, quindi, quest'ultima è sfuggita dal mio controllo ed è stata determinata esclusivamente dal tipo di foto che ho reperito. Mi raccomando, è un post per farci due risate, nulla di più!!!

Quindi
Titolo: lo scambio
Soggetto e sceneggiatura: Io, Il Gabbrio e Gabriele, fate voi!
Disegni: fotografi sparsi nel mondo che spero non mi querelino!

Ah, cliccate sopra le tavole per ingrandirle!















venerdì 7 dicembre 2007

Bella gente alla Magliana!!! (Bartoli, Torti, Bevilacqua e i soliti ignoti)



Ieri io,Giulio Gualtieri, Roberto Cirincione, e Tommaso Battistelli siamo stati ospiti ad una lezione di sceneggiatura per fumetto tenuta da Lorenzo Bartoli presso l'accademia internazionale di comics di Roma, Via della Magliana.
Una bella rimpatriata che mi ha permesso di trovarmi amichevolmente insieme ai miei compagni del corso, il mio professore-amico, ed i simpaticissimiRiccardo Torti e
Giacomo Bevilacqua.
Quello che mi è piaciuto è stato trovarmi con delle belle persone che condividono una passione senza dover dimostrare chi è più bravo e chi lo è di meno. Si è parlato, riso e scherzato di tutte le cose per le quali si ride e scherza tra amici. mi sono sentito "a casa" ed è stato bello...ciò mi ha dato di cui riflettere nel viaggio che mi ha portato da Roma a L'Aquila (Ah, prof. sono circa novanta chilometri!)...ho riflettuto a lungo e concordo con me stesso:

Da quando ho iniziato il corso di sceneggiatura molte cose in me sono cambiate. All'inizio ero spinto dalla semplice voglia di imparare a fare un fumetto, senza pretese. Poi, mi sono accorto che esiste un mondo fatto di belle persone che creano universi, danno forma ad idee e cercano di regalare emozioni. Ho capito che anche io voglio regalare delle emozioni e non mi interessa dire che sono più bravo di Tizio e che Caio scrive una merda ma è amico di...No, non me ne può fregar di meno. Sono stato troppo colpito dalla CONFERMA che Lorenzo sia un professionista della vita, non sa solo scrivere, ma sa stare con le persone e stringere un bel rapporto anche con un umile pischelletto, senza mai giudicare. Ho visto i miei compagni del corso muovere i primi passi in questo mondo e sono stato contento per loro e per me...Si è parlato di progetti, di storie e di voglia di fare qualcosa insieme, spinti dal rispetto e dalla stima reciproca...e non vedo l'ora di collaborare con persone che, lo so, sono brave ed umili.
Ho capito che voglio scrivere delle storie senza trascurare il mio sogno di essere psicologo, che anche una sola storia pubblicata e fatta bene mi renderebbe molto soddisfatto...ho capito che voglio far parte di questo mondo muovendomi a piccoli passi, volando basso, senza pestare i piedi a nessuno, senza giudicare o, peggio, criticare.
Ho capito che questo mondo è fatto di persone, di amici, di una famiglia ed io voglio essere una persona, un amico ed un familiare. Certo, c'è merda, non lo nego, ma dove cazzo non c'è? Non posso impedire che qualcuno faccia lo stronzo o il disonesto, posso solo evitare di farlo e scegliermi gli amici come me.
Ragion per cui, un dovere morale mi impone di levare un link dalla mia lista.
Quindi, io mi rimetto a scrivere, c'è una bella colaborazione, un lavoro di equipe nell'aria e sono curiosissimo di vedere come andrà a finire...rimanete sintonizzati, ne vedrete delle belle, spero!

Permettetemi di aggiungere, se non avessi passato una bellissima serata con la mia ragazza, forse questo post non l'avrei scritto!

martedì 4 dicembre 2007

Il cuore del bassista.




Hai mai guardato nel cuore di un bassista?
Il cuore di un bassista non è rosso, ma sunburst, arterie d’acero e capillari in madreperla.
Nasce che sa pulsare solo da 60 a 80 b.p.m. ma con del sano allenamento infrange la barriera del suono: metacarpo gommato Michelin, che Senna gli fa nà pippa.
Il cuore del bassista ha litigato col cervello tempo fa, quando hanno visto per la prima volta quella ragazza sorridente e riservata.
Il primo pompava carezze e baci di passione, il secondo si faceva il figo con Sartre.
Non ogni bassista ha il cuore da bassista, no. Quello, o ce l’hai dalla nascita, prima di inforcare la via della pizzicata, oppure scordatelo.
Il bassista col cuore non sa quando è il momento di tacere, crede che vivere, in fondo, sia una sequenza di elementi uguali ad intervalli regolari, “cazzo, ci vuole ritmo”, sa che il segreto è nell’improvvisazione, dopotutto, mica abbiamo una vita per le prove e l’altra sul palco, no, ti affidi al cuore, appunto, e se ci esce la stecca, pazienza, la ripeti uguale a prima, per far credere che era voluta.
Il bassista col cuore un giorno ha scoperto la sua ragazza che se la faceva col chitarrista:
- otto battute di pausa, non ha pompato per otto battute – poi, delicato si è defilato ed ha aperto i rubinetti, ché il bassista piange da solo, al massimo sulla spalla della sua ragazza, sempre che non se la prenda un altro.
Eh sì, perché il bassista starà pure dietro la prima, la seconda, la terza e financo dietro la chitarra acustica…ma provate a fare una band senza basso e poi ne riparliamo.
Il cuore del bassista è una spugna nell’oceano, raccoglie tutto: bellezza, solitudine, calore, tramonti ed albe e sangue, lotte, ferite, speranze e malinconia, petrolio, rifiuti di ogni genere e tanta libertà, poi fagocita tutto e te lo mette su cinque righe e quattro spazi e…musica maestro!
Il cuore del bassista non invecchia, stagiona.
Il cuore del bassista non conosce aritmie, al massimo suona dispari.
Il cuore del bassista se si rompe lo porti dal liutaio.
E ricordate, il cuore del bassista non sanguina, urla.

mercoledì 21 novembre 2007

-THE BAND- sottotitolo: DONKEY RACE - (Parte uno)




- Si…Si…ancora, muoviti di più…oddìo!!!-

- Ahhhh, Ahhhh…sei fantastica!-

- Gesù, non ti fermare!!! –

“Driiin…Driiin…Driiin! –

- Scusa tesoro…
Pronto? Hei Tom, ma no che non mi disturbi, dimmi…le prove? Così, su due piedi?
Ma certo, dammi dieci minuti, il tempo di prendere il basso e vengo! –

“click!”

- Amore, perdonami ma mi hanno fissato le prove col gruppo all’ultimo momento, devo andare… -

- ma…ma…Jack!!! Non dirai sul serio?! –

- Oh, Kim, lo sai che abbiamo un concerto importante tra una settimana…scusa eh, ti chiamo
dopo…-

- JACK!!! TI ODIOOOO!!! –

“slam!!!”

Salve! Questo sono io, Jack Miller, anni venticinque, alto atletico…avete presente Brad Pitt? Beh, non c’entro nulla, sono moro con gli occhi scuri, ma me la cavo lo stesso. Studente a vita di economia ed una sola passione (tralasciando le donne): la musica, o meglio, il Rock!
Bassista giocoliere dalla pizzicata acrobatica, mi muovo su e giù per il manico come un ragno sulla sua tela, stacco padiglioni auricolari a suon di slappate e, se permettete, posso infilarmi languido sotto le vostre gonne con note tonde, calde, umide e succulente.
La mia vita ruota tutta intorno a quello che per me è come una religione, un’idea, un dio da venerare, un pensiero innato, una categoria della mente: la mia band.
Di gruppi ne ho passati tanti, sapete, sono abbastanza richiesto come bassista, ma questo è quello definitivo, quello che mi porterà a calcare i palchi più prestigiosi, quello che mi darà la fama, in definitiva, quello che farà avverare il sogno di fare del rock la mia vita.
Noi siamo i Donkey Race!
Un gruppo è un po’ una setta, e come tale è composto di persone che pensano e agiscono all’unisono, mossi da un ideale comune e pronte a dare tutto per questo.
Ecco, quello che ho appena detto è ciò che ho sempre pensato e che pensavo fino ad un anno fa.
L’avvenimento che si è verificato in quella data, meglio, come siamo arrivati a quello che è successo ve lo racconterò con calma, ma procediamo per gradi.
Come dicevo, un gruppo è fatto di persone, ed è giusto che ve le faccia conoscere.
Tom Luke, newyorkese fino al midollo (dimenticavo, siamo tutti della grande mela!), scaltro, beffardo, la Fender Stratocaster è stata disegnata per finire tra le sue mani. Delle leggende metropolitane narrano che alla sua prima esibizione live si sia scolato una bottiglia di Gran Marnier per poi vomitarla sul pubblico. È l’amico che tutti vorrebbero, l’amante che tutte le donne desiderano e, non da poco, ha il tocco.
Il tocco è quel qualcosa che non ti insegnano a scuola, ma ti nasce da dentro; è quel feeling che instauri con le corde fino al punto che sono loro ad implorarti per essere pizzicate, stirate, fatte vibrare a morte. Il tocco ti entra dentro e ti scruta, e dopo che ti ha rivoltato come un calzino, sei pronto a chiedere il bis.
Chitarra e coro del gruppo, ma in realtà è l’anima pulsante che dona vita a tutte le nostre canzoni.
Per la cronaca, studia marketing con ottimi risultati, cosa c’entri questo col rock sto ancora cercando di capirlo.
Matt Rude, in lui ebano e avorio vivono in perfetta armonia.
Eclettico, sperimentatore e gran rompicoglioni. Se avete una sorellina a cui volete un minimo di bene, non presentategliela. Passa dalle atmosfere acide al virtuosismo con la disinvoltura di una troia che ti sfila le mutande, anche se non sempre è altrettanto piacevole. Lui è il promoter, l’impresario, il manager e il fattorino, se c’è da farsi il culo, lui è già lì ad abbassarsi i pantaloni.
Gestisce una bettola chiamata “Rock’s ass”, il classico posto dove si fuma, si beve, si beve e si fuma e, se hai culo, ti rimorchi qualche battona che fuma.
A volte mi chiedo “perché lui?” ma vi assicuro che come tastierista è insostituibile.
John Philip, pistone, biella ed albero motore dell’intera band. Campa dando lezioni di batteria, ma da quando ha rotto una bacchetta sul braccio di un allievo che si trovava sempre al contrario rispetto al tempo, non ha una grande clientela.
Se non fosse per lui non suoneremmo, beh, non perché sia il miglior batterista del mondo, ma perché è l’unico che capisce qualcosa di elettronica, io, personalmente, so solo attaccare il jack al basso, il resto è noia.
Silenzioso per indole, sempre alla ricerca della donna perfetta, che ovviamente non troverà mai.
Donne, non vi accalcate per provarci, è talmente imbranato che l’unica soluzione sarebbe mandargliela tramite UPS, ma in quel caso potrebbe respingerla al mittente.
Se proprio volete qualche ora di sesso pornografico potete rivolgervi a Simon Lab, il cantante.
Lui sì che è un maiale di quelli da oscar ma, è tanto porco quanto tenero. È il papà del gruppo, quello grande, il trentenne. Gestisce una stazione di rifornimento, cosa che rende, ma è abituato ad infilare i verdoni nei tanga delle spogliarelliste, quindi, è in bolletta perenne. Voce calda, suadente, mistico incrocio tra “The Voice”, “The King” e lo spazzino che fischietta tra sé e sé di notte.
Diciamo che come frontman non è il massimo della scioltezza, ma con tre-quattro litri di birra il gioco è fatto.
Beh, che dire: voce, chitarra, tastiere, basso e batteria, il gruppo perfetto.
Ma il destino non la pensava così…

lunedì 19 novembre 2007

PUBBLICITA'...(ma quanto mi piace suonare?)




Allora, che io suoni il basso pare che lo sappiate già!
Ultimamente i miei rapporti con le band vanno stranamente, ci sono dei gruppi storici con i quali, non so bene perché, non si conclude molto, e dei gruppi novelli, non troppo vicini per indole a quello che è il mio vero animo musicale, con i quali, invece, si cammina alla grande.
Proprio per quest'ultima categoria, vorrei segnalare i KIDS WANNA ROCK...
Trovate il collegamento per la pagina MySpace nella colonnina dei link posta qui a fianco.
Questo è un gruppo nel quale sono entrato quasi per scherzo, non nel senso che io ci suoni alla meglio e peggio, ma proprio perché la cosa è stata buttata lì quasi per gioco, ed eccomi subito a provare con loro e a fare serate.
Sempre per gioco, mi sono trovato a registrare la demo e, ancora per gioco, me la sono vista piazzata sul internet insieme a foto che mi ritraggono...ancora per gioco, leggo che in tre giorni abbiamo avuto oltre quattordicimila visite!
Vogliamo giocare ancora? Sembra che in Italia non ci siano cover band ufficiali di Bryan Adams.
Ciò ovviamente non significa niente, sono undici anni che suono in vari gruppi ed ormai non mi meraviglio per così poco, non mi sono meravigliato nemmeno quando mi sono trovato al telefono con produttori che commentavano la musica del mio gruppo...la cosa che mi preme sottolineare è che mi fa piacere!
Mi fa piacere perché sono dei ragazzi che riconoscono la mia bravura (quando ci vuole ci vuole) e mi ascoltano, mi chiedono, ma che comunque non pendono dalle mie labbra, sono un bel gruppo...oddìo, lavorano come dei muli, non mi concedono nemmeno la sacrosanta pausa sigaretta durante le prove, ma va bene così!
Venerdì prossimo dovremo suonare in un pub qui in zona, nulla di che, è un locale nel quale ho suonato con altre tre band, ma spero che vada bene, dove per "vada bene" intendo "spero di divertirmi", ma so che accadrà.

Da quando ho preso il basso in mano ne è passato di tempo, ho sudato sullo strumento, a volte ci ho pianto, altre ci ho parlato, è un rapporto che va da un sedicenne insicuro di sé che inforca un basso, ad un insegnane, noto jazzista di fama internazionale, che preme per convinermi a mollare tutto e dedicarmi solo alla musica, perché è convinto che io abbia talento, ma questa è un'altra storia, forse un giorno ci scriverò sopra, per il momento sto cercando ancora di digerirla...
Beh, se siete dalle parti di Atina il 23, vi offro una birra!!!

lunedì 12 novembre 2007

L'uomo che sapeva piangere




Mario è un errore.
Rifiuto ideale da cassonetto differenziato per il frutto del peccato.
Questo lui lo sapeva, ma preferiva pensare di avere così tanta voglia di vivere da abbattere il muro dell'amore protetto.
Oggi Mario ha quarant'anni, cranio catarifrangente e fegato galleggiante.
Ha l'aria da uomo vissuto nel fumare Marlboro rigorosamente nel pacchetto morbido, proprio quelle che devi dare una schicchera per farne uscire una.
Roma sotto Natale trasforma i tubi di scappamento in camini ardenti e quel barbone vicino le poste di Piazza Bologna sembra un pastorello in attesa di una buona novella che non arriverà mai, tanto vale consolarsi con un novello di quelli che con le castagne calde è la morte sua.
Mario lo guarda e non ci fa caso, non per cinismo, ma perché ha in mente tutti i discorsi che vorrebbe fare ai suoi amici, tutte le carezze che vorrebbe dare alla sua donna...ma a volte la vita è strana, a volte capita di nascere anche se nessuno ti ha voluto e per uno scherzo del destino continui a vivere senza che nessuno ti voglia.
E per non pensarci Mario scappa dal freddo di dicembre e corre sulla Salaria, dove vendono l'amore caldo all'etto, che puoi vivere senza pane, ma l'amore non te lo regalano, e allora te lo devi comprare.

"Quanto?" - il prezzo lo conosce, ma Mario è uno educato. -

" Trenta bocca e figa, per il culo vai da più avanti"

"Va bene, sali..."

Mario percorre pochi metri, il tempo di accostarsi un pò.

"Ma come, ti fermi qui dove possono vederci tutti? Sei proprio un maialino!"

"Per quello che dobbiamo fare non importa se ci vedono...voglio solo parlare, vuoi ascoltarmi?"

Lei non è stupida e sa leggere bene tra le righe, chiude le gambe da gran signora e si gira verso di lui, l'apparenza mostra una battona della Salaria ed uno che va a puttane, ma a ben vedere sono un uomo e una donna, quanto basta per sentirsi vivi.
Mario si sente a suo agio e capisce che non ha senso parlare, meglio lasciare la scena alle lacrime che sono molto più eloquenti e danno soddisfazione.
Il sapore salato si mischia al profumo di lei, sa di lenzuola fresche e dopobarba da due soldi, mix letale per menti tenere e ingenue.
Lei prende un fazzolettino, che devi sempre uscire con i ferri del mestiere, ma quella sera servono per qualcosa di diverso, dolce e pulito.
Lui ringrazia e sorride, fa per prendere il portafogli, lei lo ferma ma poi ci pensa bene...
Mario è contento di pagare, saluta, fa scendere la donna e se ne va leggero.
Lei prende i trenta euro, ma non è una puttana avida.
Trenta euro da mettere nel reggiseno, non nella borsetta insieme agli altri.
Trenta euro per ricordarsi di quell'uomo che sapeva piangere.
Intanto arriva una nuova auto.

"Quanto?"

"Trenta bocca e figa, per il culo vai più avanti"

"Va bene, sali..."

Lei lo guarda, non ha gli occhi di Mario e nemmeno il suo sorriso dolce.

"Prima di andare...ma tu piangi?"

"Io? certo che no!"

"ok, senti, vai più avanti, io oggi stacco prima."

Stringe i trenta euro tra le dita e pensa a lui...
Quella sera, sulla salaria è stato venduto l'amore, quello vero.

martedì 6 novembre 2007

Smarrimento




Qualunque cosa Paul stesse cercando ignorava che non l’avrebbe mai trovata.
Almeno non del tutto.
Non perché fosse qualcosa andata perduta o deteriorata, non perché per qualche scherzo del destino l’avesse messa chissà dove, no.
Semplicemente, quella cosa era nella sua mente, in un punto remoto, nascosto, al sicuro.
Attendeva in silenzio, al buio. Seduto su una poltrona, le gambe larghe e la testa bassa.
Provava a concentrarsi, a capire, a ricordare, ma le poche informazioni che aveva rendevano le cose maggiormente offuscate.
Percepiva uno strano odore dolciastro venire da ogni angolo di quella che doveva essere una stanza, era forte, pungente, a tratti nauseante. Cercava di capire che cosa fosse, aveva l’aria stranamente familiare ma non riusciva a pescare un nome da attribuire a quella sensazione, l’unico indizio che gli sembrava d’aiuto era un ricordo, quello di quando da bambino cadde dalla bici tra i rovi e se ne andò tra lacrime e sangue.
Cercò ancora di concentrarsi, questa volta sul silenzio, innaturale, morto, tetro, rotto dal suo respiro stranamente affannato, sulle prime era più simile a quello di una bestia feroce appena ferita, ma col passare dei minuti diventava sempre più lieve.
Si chiese a cosa fosse dovuto quel fiatone, ma come provava a ricordare la testa si faceva stretta e il cervello pulsava scalpitante dentro quella scatola piccola.
Benché fosse buio pesto non aveva le forze di attivarsi ed accendere la luce, oppure aprire una finestra, tanto era il senso di svuotamento e la stanchezza. Si sentiva consumato, leggero, aveva la sensazione che le gambe si sciogliessero sul pavimento, come in una tremenda estasi orgasmica.
Ma non aveva la soddisfazione del coito, si sentiva perso, indifeso.
Le immagini non ci misero molto ad arrivare, il buio fu velocemente ferito da visioni, come un flash improvviso.
Rosso, denso, liquido.
Era sangue.
Lo vedeva ovunque, schizzava a fiotti sulle pareti, colorava il suo volto, imbrattava le sue mani.
Ancora immagini.
Questa volta di sorrisi sdentati e grondanti plasma rossastro, saliva e lacrime salate.
Vedeva ventri squarciati e budella rosee rovesciarsi al suolo come una pentola di spaghetti.
Riusciva perfino a sentirne lo spiattellamento a terra, lo sciacquettare tra membra e liquidi.
Poi vide un riflesso, una luce bianca e pura a fendere il buio.
Strinse gli occhi, c’era qualcosa di familiare in quella luce, cercò di vedere meglio, ed apparve.
Quello che vide fu il suo volto riflesso in una lama di pugnale, la faccia deformata in un delirio di rabbia, la bava alla bocca, piccoli punti di sangue creavano strane figure sulle sue guance.
A quella vista Paul balzò in piedi e con fare deciso si mosse nel buio, come se d’un tratto sapesse benissimo dove si trovasse.
La mano si posò decisa sull’interruttore.
Luce.
Chiuse gli occhi per difendersi dal bagliore e li riaprì con calma.
Lo stomaco indietreggiò con violenza mentre gli occhi sgranarono fino a strapparsi ed un violento conato di vomito lo fece accasciare al suolo tra i liquidi che aveva vomitato.
Si guardò attorno e ciò che vide fu mostruoso.
Membra, sangue e membra sparse ovunque in quella stanza.
I resti di quelli che dovevano essere dei corpi giacevano ovunque, il sangue sulle mura, per terra, sui mobili.
Vide denti e dita e orecchie formare un quadro cubista sulle mattonelle grigie.
Completamente in ginocchio posò le mani a terra ed il freddo delle piastrelle, come un getto d’acqua piovana, lo svegliò dall’orrore e vide ancora.
Questa volta notò le sue mani, completamente rosse, i suoi vestiti lerci di sangue e quel coltello sul pavimento.
Ma l’orrore vero doveva ancora arrivare, ed arrivò quando comprese che i resti che lo circondavano appartenevano a due persone precise: sua moglie e sua figlia.
Indietreggiò in lacrime fino ad urtare un grande specchio, si girò di scatto e si vide.
Vedendosi capì, o meglio, ricordò. Ricordo di aver compiuto il massacro ed in un attimo si rese conto che non avrebbe mai trovato ciò che cercava, non l’avrebbe più riavuta indietro e sarebbe stato condannato per il resto della vita a cercarla; la sua ragione.

It's a new dawn, it's a new day...



Eccomi qui a scrivere dalla mia nuova postazione, cioé una stanza singola in un appartamento sito a L'Aquila!
Nuova avventura, nuova vita, nuovi impegni, nuove preoccupazioni, nuove paure, nuove responsabilità, nuove esperienze, nuove conoscenze, nuovi studi...l'unica cosa che non è cambiata è Il Gabbrio, ma si sa, tutte le esperienze forti, che siano belle o brutte, portano a dei cambiamenti, ed anche IlGabbrio, alla fine, ne uscirà diverso, spero migliorato!
Per il momento non ho grandi impressioni, sono ancora frastornato dal mini-trasloco, solo sistemare i miei capi d'abbigliamento è stato faticoso, per chi non lo sapesse, nutro particolare attenzione a come mi vesto (per fare un esempio, ho 23 camicie!), ma non giudico le persone da come si vestono, è semplicemente un'esigenza di star bene con me stesso, ma sto divagando......quindi, sistemare tutto con cura è stato impegnativo, e poi, rifatti il letto, con un botto di coperte (qui fa freddissimo!!!), sistema i libri, la scrivania, le foto della mia ragazza e degli amici, e tutto il resto, la ps2, ovviamente. Manca una cosa che non deve mancare, ma non avevo spazio per portarlo in macchina: uno dei miei bassi! Ma venerdì tornerò a casa, quindi devo RESISTERE solo qualche giorno senza suonare (cosa impossibile per me!).
Spero che l'aria fresca mi faccia scrivere nuovi raccontini, e spero che vi piacciano...domani proverò a scrivere qualcosa...sono orientato sull'horror, ma è perché sono reduce dalla Terza madre di Dario Argento (se non c'era la figlia a recitare era pure un bel film!), quindi mi asterrò dall'horror : )
A presto, con qualche riga, speriamo bella!

sabato 27 ottobre 2007

Amore e Psiche



Premessa.
Raccontino ispirato da una frase letta su un manifesto: hai mai pensato di suicidarti dallo studio del tuo psicologo?

Tic, tac…tic, tac…sessanta battute al minuto per l’orologio da parete posto nell’anticamera dell’ufficio della dottoressa Stuart.
Stephen lo guardava quasi in trance, a tratti infastidito da quel suono che si perdeva nel riverbero naturale della stanza, abbastanza spoglia, con qualche pianta agli angoli, mura candide color acqua marina ed un tavolinetto moderno, proprio al centro, che ospitava varie riviste per passare il tempo.
Ore 18:00, la dottoressa è solitamente puntuale, ed infatti, un minuto dopo la porta si aprì e lasciò sfilare il cliente precedente, anche se sarebbe più opportuno parlare di paziente.
Usciva con aria soddisfatta, la classica madre di famiglia, senza grilli per la testa e con troppi panni da stirare.
Stephen la guardava e cercava di indovinare il suo problema: depressione? Sicuramente. Forse una piccola mania di persecuzione e stati d’ansia accentuati.
-Beh, sono i piccoli prezzi da pagare per far parte di una società civilmente evoluta- pensò. Quindici gocce di Prozac, una pasticca di Fluoxetina e passa la paura.
Con fare sicuro il ragazzo si alzò, preparandosi alla sua ora di confessioni.
Quel giorno, però, Stephen aveva una strana espressione, troppo calmo, quasi assente, sguardo basso e passo lento.
La dottoressa, salutandolo, notò certamente tutte quelle cose, ma senza darci troppo peso.

“Allora, Stephen, come è andata questa settimana?”

Nessuna risposta.
Il ragazzo guardava le proprie mani fare impensabili giochi geometrici al limite del contorsionismo, nessuna smorfia, non un sospiro.

“Stephen, tutto bene?”

Nessuna risposta.
Ora cercava chissà quale illuminante scoperta nelle punte delle sue scarpe, una paio di Converse All Star bianche, sporche e segnate da migliaia di passi.

“Stephen, è successo qualcosa? Vuoi parlarne?”

Nessuna risposta.
Il giovane sollevò semplicemente lo sguardo, la guardava dolcemente, ma con indolenza.
Con fare fermo si alzò dalla sedia e si apprestò alla finestra.
Una finestra che dava su cumuli di grattacieli, case e strade fumanti. Una piccola finestra al ventiquattresimo piano di un palazzo nel pieno centro di New York.
Senza troppi indugi, la aprì e, nello stupore della dottoressa, la attraversò per sedersi sul cornicione. Guardò giù, senza dire una parola. Si limitava a sentire milioni di automobili produrre un frastuono impossibile, sentiva il vento fresco portare l’odore degli hot dogs della quinta strada, un odore quasi acre, caldo, e pensava, in silenzio.

Kate, questo è il nome della dottoressa, si alzò con calma e, rimanendo nella stanza, si affacciò per parlare con Stephen:

“Senti, qualunque cosa sia, possiamo risolverla, sono qui per questo.”

“No non si può fare niente, sono stufo…”

“Stufo di cosa?”

“Stufo di soffrire, di essere di malumore, di svegliarmi e trovare ancora fresche le lacrime che ho versato prima di addormentarmi, di guardarmi intorno e non trovare nessuno, di sentirmi solo anche in mezzo alla folla, di pensare che ho fallito, che ho bruciato le occasioni che mi sono state date dalla vita... stufo di avere paura, di non farcela, di non essere amato.”

“Capisco, e pensi che buttandoti la cosa possa giovare?”

“Beh, se sei morto non puoi soffrire”

“Questo è vero, ma a me non ci pensi?”

La dottoressa disse quella frase in un modo diverso dal tono al quale era abituato Stephen. Era improvvisamente più caldo, familiare, dolce, sincero. Il tono di voce di una semplice ragazza, ed è così che ora lei appariva, una semplice ragazza di trentacinque anni, capelli castani lunghi e mossi che cadevano leggeri sulle spalle delicate. Un viso tondo, naso piccolo, occhi espressivi, vivi. Era, d’un tratto, umana e libera da qualsiasi possibilità di classificazione.

“Che significa – A me non ci pensi - ?”

La dottoressa uscì dalla finestra e si sedette accanto a lui, il vento le faceva svolazzare i capelli, inebriandolo del suo profumo, delicato e femminile.

“Sai, se tu morissi, credo che morirei anche io”

“Co…”

“Schhhh” fece Kate mettendogli un dito sulle labbra per zittirlo.

“A volte è tutto così semplice, senza troppi problemi troppi perché…a volte capita che una ragazza si innamori di un ragazzo. Un ragazzo sensibile, con piccoli problemi, ma capace di dare tanto amore, lo stesso amore che io vorrei donarti.”

Lui la guardò stupito, ma non ebbe il tempo di fare, il tempo di dire.
Lei lo prese, si avvicino e lo baciò.
Fu un bacio lungo, aveva la passione di un temporale estivo, la grazia dell’aurora.
Si guardarono, sorrisero.
Rimasero a lungo sul cornicione, a guardarsi, baciarsi, accarezzarsi, e solo quando il sole tramontò decisero di rientrare e di continuare a vivere.
Insieme.

lunedì 22 ottobre 2007

Time



Tra L'Aquila, Roma e Cassino non ci sto capendo nulla. Spero di trovare presto il tempo per postare qualcosa di decente!!!

martedì 16 ottobre 2007

Quando Fuori Piove...



Una piccola dedica.


Può un angelo starsene seduto su un divano a guardare la televisione?
Mike, guardandola mentre si sfiorava i lunghi capelli castani con dita fatte di ali di farfalla, capì che era possibile.
Fuori la pioggia lavava le anime, pioveva sui ricordi, i rancori, le frasi spezzate e mai dette. Pioveva sugli ombrelli colorati dei bambini all’uscita di scuola e sulle scure valigette degli avvocati.
Una di quelle giornate fatte di latte caldo dove inzupparci pezzetti di cuore ed assaporarne l’amore che fuoriesce come marmellata calda.
Mike provò l’impulso irrefrenabile di sdraiarsi sul divano ed appoggiare la testa sulle gambe di lei.

“Che fai?”
“Niente, mi sento piccolo, ed ho voglia di sentire il tuo affetto”

Lei lo accolse in grembo, tentennava all’idea di toccarlo, tanto appariva dolce in quella posa, come se non volesse sciupare un fiore troppo delicato, appena schiusosi ai primi raggi.
Quell’attimo di silenzio riempì l’atmosfera, l’aria era d’improvviso dolce al solo respirarla ed i due rimasero a tacere, gustandosi il dialogo dei loro respiri.
D’improvviso, la voce di lui uscì come un cucciolo dal letargo, lieve, delicata, quasi impercettibile:

“Sai, a volte mi sento male, è come se non riuscissi a contenerlo, come se mi esplodesse dentro ed io annegassi in un mare denso di sensazioni…non so, è difficile da spiegare”

“Cosa, cosa non riesci a contenere…”

“L’amore, tutto l’amore che provo per te, è troppo, grande, enorme, potente, caldo. Vorrei urlarlo, sbattertelo in faccia, anche solo un pezzetto per farti capire quanto è violento ed imponente. Ti giuro, ti amo da star male, eppur mi piace”

Lo disse così, dandole le spalle mentre la testa poggiava ancora sulle sue gambe, continuando a fissare la finestra che deformava il paesaggio sotto lo scrosciare dell’acqua.
In quell’istante sentì quella pioggia cadere sul suo volto, pensò di avere le traveggole, era come se gocciolasse sulle sue guance e capì solo dopo aver sentito il dolce sapore salato sulle sue labbra che erano le lacrime di lei, tonde e sincere, a dimostrare che aveva capito.
Fu allora che Mike si alzò, la prese delicatamente in volto e avvicinò la sua fronte a quella di lei.
Gli occhi erano talmente vicini da non poter vedere null’altro se non lo sguardo intenso dell’altro.
Rimasero così, in quella posa, col sorriso…ci rimasero in eterno, anche quando i due si alzarono per fare l’amore, le loro anime rimasero in quella posa giurandosi amore eterno.

lunedì 8 ottobre 2007

The Answer - Parte 2 -




Premessa: Vabbé, posto la seconda parte di The Answer, così, per sfizio...alcune cose sono un pelo alla Tarantino, spero che vi piaccia!



Come un vecchio dalla sua infanzia, ora, ero lontano dai miei ricordi. Stringevo le mani sul volante per imporre il mio controllo e tutto, inspiegabilmente, mi appariva per ciò che era: piccolo. D’improvviso il buio lì fuori era diventato denso, solo due coni luminosi, artificiali, mi guidavano attraverso quei mille aghi che cadevano dal cielo. Gli alberi, inglobati in quella pece eterea, si dissolvevano davanti ai miei occhi ed io correvo su una di quelle piste giocattolo tutte nere, quelle piste costose, con le macchinine telecomandate, piene di curve. Ma alla fine, che ne sapevo io delle curve. Da piccolo potevo permettermi solo quella ovale.
Pensavo all’ottimo lavoro di quella sera; il russo è stato di parola:
- amico, un pizzico di questa roba e il cuore del tuo uomo finirà di battere come una puttana in pensione!- così mi disse.
Già, è proprio così che è andata: veleno di imenotteri. Una piccolissima pallottola di gomma contenente 50 ml di veleno di vespa, o d’ape, non so. Quanto basta, però, per sviluppare un infarto del miocardio. Avrei potuto montare una bomba nell’auto, oppure, introdurmi in casa e strangolarlo nel sonno. Sono molti i modi per uccidere, ed io li conosco tutti: dallo sparare al bersaglio dall’alto di un grattacielo, con un fucile da precisione, allo spezzare il collo da una distanza di cinque centimetri. Ma quando il russo, un armadio a due ante con la mandibola squadrata, colato in un gessato di Armani ed incapace di fare anche il minimo sorriso, mi propose quella piccola novità, non ho saputo resistere. Pensavo che forse era una sciccheria troppo raffinata per mandare giù un semplice produttore-pappone cinematografico, ma alla fine, un modo valeva l’altro, il ciccione sarebbe andato al tappeto comunque, quindi, perché non soddisfare la mia curiosità.
Cinquantamila dollari, un prezzo di favore per un lavoretto così semplice, anche se quello stronzo del committente ha provato a fare il furbo:
- Richard Drein deve tirare le cuoia…- esordì così, senza neanche salutare.
-…e con lui quella bagascia al silicone che si porta dietro, la puttanella stava con me e non mi piace essere scaricato per un pappone da due soldi!-
- Calmo. Niente donne, niente bambini. Solo il grassone va giù. Cinquantamila, metà ora, metà a lavoro finito. Dove, come e quando lo decido io. Tu paghi, io penso al resto. Queste sono le regole.-
Per un attimo era rimasto immobile di fronte a me, mi guardava, no anzi, mi studiava. Eravamo solo io e lui in quel magazzino isolato. Per terra, il grigio cemento, freddo come una lapide in inverno. Tutt’intorno, scatoloni di cartone vecchi e marci, di un marroncino sporco, rosicchiati dai topi o semplicemente da loro usati come orinatoi. Avevo fatto capire al tizio che ero io a comandare ed evidentemente la cosa gli faceva rodere il culo; si avvicinò, quell’enorme cubano tra le sue labbra sbuffava come il fumaiolo di una nave, sapevo cosa stava per fare: mi prese per la giacca e mi portò a sé.
- Se dico che la troia muore, la troia, muore…intesi?- Per un istante ci guardammo negli occhi e percepii la sua paura nel vedermi sorridere.
Veloce, netto, silenzioso, un serpente che scatta, ti morde e poi ritorna sul posto: presi la sua mano e gliela rigirai dietro la schiena, si era sentito un crack…pazienza, un paio di dita erano andate.
Con calma gli dissi:
-La situazione è questa: fra cinque secondi potresti essere morto, sai cosa fare…
- O-ok…venticinquemila adesso, gli altri a fine lavoro, si fa come dici tu.-
Non l’avrei ucciso, questo è sicuro, ma l’importante era che lui lo credesse.

venerdì 5 ottobre 2007

Lo ammetto: sono un bamboccio (piccola riflessione)





La Finanziaria contiene delle misure che consentiranno ai giovani di affrancarsi dalla dipendenza dei genitori. "Mandiamo i 'bamboccioni' fuori di casa", dice con una battuta il il ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa nel corso dell'audizione davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato. Il ministro fa così riferimento alla norma che prevede agevolazioni sugli affitti per i più giovani. "Incentiviamo a uscire di casa i giovani che restano con i genitori, non si sposano e non diventano autonomi. E' un'idea importante", ha messo in evidenza Padoa-Schioppa.

Premessa: Se vivessi a Roma e guadagnassi 1000 euro a mese non potrei vivere da solo pagando euro 800 d'affitto!!! Come mangerei? E le bollette?

Premessa 2 : non mi riferisco all'iniziativa della finanziaria in sé, mi è bastato prendere 30 e lode a diritto finanziario per non volerne sentire più parlare, mi riferisco alle persone che , pur potendo non se ne vanno a vivere da sole e non, ovviamente, ai tanti poveretti che non hanno la possibilità, pur lavorando, di vivere da soli.

Bene. Mi sveglio di buon ora, ed apprendo questa notizia. Il punto è che non faccio in tempo a rifletterci sopra che sento alla televisione di una sorta di stato d'offensione generale relativo all'utilizzo del termine "bamboccio".
Ora, dico io, ho ventisette anni, ventotto il prossimo aprile, e vivo a casa con i miei...sapete cosa ne penso? è una cosa che mi sta altamente sul cazzo, ma vi rendete conto? ventisette anni e sto ancora con mamma e papà, non è possibile!!!
La mia storia personale è un pò atipica, dato che mi sono iscritto a psicologia a ventisette anni, il mio traguardo immediato è laurearmi nel minor tempo possibile, e lo ammetto, mi fa comodo avere chi cucina. lava, stira, mi da i soldi ecc. Però, se mi fossi retto bene sulle mie gambe studiando giurisprudenza, sarei uscito di casa non appena laureato e, se la cosa fosse andata troppo per le lunghe, avrei cercato un lavoretto più remunerativo delle mie occupazioni precedenti (insegnante di musica ed istruttore di spinning).
Bene, il ministro mi definisce un bamboccio, sapete che dico? Ha ragione!!!
Più che bamboccio, avrei detto "mammone" che lo trovo più offensivo.
Non capisco proprio la gente che si è offesa, trent'anni fa, a 25 anni, i ragazzi avevano una propria vita, camminavano, cadevano e si rialzavano da soli...cazzo, ma è poi così assurdo?
Personalmente, se decidessero di darmi degli sgravi fiscali ed altre agevolazioni, sarei semplicemente contento, e basta, così potrei pensare un pò più facilmente di andarmene di casa e magari andare a vivere con la mia ragazza, cosa che farei con tutto il cuore.
Basta fare un paragone.

vivo con i miei:
le regole le fanno loro, gli orari, anche se flessibili, e nel mio caso molto flessibili, li decidono loro...i soldi li chiedo a loro, se voglio un pò di intimità devo aspettare che loro escano, se ho le palle girate e voglio stare un pò tranquillo non posso perché loro sono per casa, se loro litigano sono io che devo starli a sentire, se voglio ascoltare musica ad alto volume di notte non posso farlo (vabbé questa è una cazzata, lo ammetto). Se sono triste mi devo sentire loro che mi domandano cosa io abbia fatto, certo sono loro che cucinano (sul cucinare, io pranzo da solo tre giorni a settimana e sono io che cucino) lavano stirano e puliscono e fanno la spesa però...

Vivo da solo o con la mia ragazza:
Mi sveglio e ho tutta casa e bagno per me, oppure mi sveglio e trovo accanto quella splendida creatura che è la mia ragazza...faccio le mie cose esattamente come quando sto con i miei, e fino a qui nessun problema, però, se sto con la mia ragazza, posso permettermi di fare l'amore di prima mattina (cosa che adoro) e non è poca cosa...la mia giornata di studio trascorrerebbe allo stesso modo, con la precisazione che dovrei ritagliarmi un pò di tempo per fare un'eventuale spesa oppure avviare la lavatrice o stirarmi una camicia, e che problemna c'è? lo fanno tutti!
Il pranzo, o cucino io e non c'è nulla di strano, o mangio fuori...il pomeriggio si studia o si lavora dipende...quando poi torni a casa, stanco, devi sì pensare alle faccende di casa, e se sei solo forse la cosa potrebbe scocciare, ma ci si fa l'abitudine, se si è in due, lo si fa con più voglia, magari con un petting occasionale, la sera si cena e poi si esce oppure si vede un film o si sta con gli amici o solo con il partner, in assoluta libertà ed intimità, magari si fa una telefonata a casa oper sentire mamma e papà e sorella...e ci si inventa tutto quello che vuoi, libero di farlo, tanto, quando è il momento di dormire, lo fai comunque perché tua madre ha smesso di rimboccarti le coperte da 15 anni, e se non sei solo, ti addormenti al fianco della tua ragazza, magari prima si fa qualche gioco erotico che così ci si rilassa meglio!!!

La vita da solo è dura, non è rosa e fiori, lo so, ma credo che non sia giusto rimanere sotto il tetto dei genitori mentre la vita ci scorre avanti, quindi...sono un bamboccio e lo ammetto, ma rimedierò al più presto!!!

Ripeto la premessa: Se vivessi a Roma e guadagnassi 1000 euro a mese non potrei vivere da solo pagando euro 800 d'affitto!!! Come mangerei? E le bollette?

Ripeto la premessa 2: non mi riferisco all'iniziativa della finanziaria in sé, mi è bastato prendere 30 e lode a diritto finanziario per non volerne sentire più parlare, mi riferisco alle persone che , pur potendo non se ne vanno a vivere da sole e non, ovviamente, ai tanti poveretti che non hanno la possibilità, pur lavorando, di vivere da soli.

è un casino, lo ammetto!!!


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sabato 29 settembre 2007

The Answer




Premessa:
Questa è la prima pagina di un racconto che ne prevede una ventina, racconto che non ho mai concluso!
Parla di un killer professionista, il migliore sulla piazza che, tornando da un lavoretto, si scontra in un frontale con l'auto di un chirurgo. Il racconto si snoda sui due che attendono l'arrivo dell'ambulanza (sono lontani un'oretta da New York) e, parlando, mettono a confronto le loro visioni della vita, da un lato uno che per vivere uccide la gente, dall'altro uno che le vite le salva.
Dicevo che non è ancora finito, e non posterò le altre parti ma, se vi piace, potrei trovare lo spunto per terminarlo!!!


Cristo se pioveva. Era una sera di fine novembre, il buio aveva abbracciato la nostra parte di emisfero da almeno un paio d’ore ed io scivolavo morbido come burro su una padella rovente con la mia Mercedes per una strada di campagna, ad un’oretta da New York. Ero solo al volante e sola era la mia auto su quella lingua di asfalto che si torceva e si riallungava sotto un consistente velo bagnato. Ero riuscito anche a sorridere, quando Radio ’80 mi propose le note di Africa, dei Toto, mentre fuori il freddo succhiava via le energie anche ai sassi. Non so perché ma le centinaia di gocce che si suicidavano nervosamente sul mio parabrezza mi portarono con la mente a quella sera di tanti anni fa, quando io e mio padre tornavamo in macchina dal Bowling Olimpia ed io, un frugoletto di otto anni, mi spaventavo alla vista dei fulmini che si abbattevano nell’area circostante. Mio padre, un omaccione robusto e possente, mi accarezzò i capelli con una mano di piuma e calli. Capii da quel gesto che per quanto il fulmine potesse cadere vicino, lui sarebbe stato lì, a proteggermi. La mia mente continuava a viaggiare guidata da quel tip tap acquatico. Dal ricordo di mio padre ero passato a quell’inverno del 1987 quando, stringendo Alice sotto le coperte, mentre fuori il temporale affogava ogni centimetro del college, e la sua pelle calda si spalmava liquida sulla mia, pensavo che fossi un uomo, non perché giacevo con una donna, ma perché grazie a lei ero riuscito a piangere.
Cazzo se continuava a piovere. Quaranta minuti, un’ora forse, e sarei giunto alla grande mela. La radio continuava a coccolarmi con la musica della mia giovinezza, ma ormai la pioggia aveva rotto la diga della mia memoria ed i miei ricordi, ora, sguazzavano liberi. Mi tornò alla mente Bobby Maist, un amico del corso di kick boxing. Pensavo a quella sera in cui riuscimmo a pestare in due un gruppo di sei teppistelli che volevano derubarci…ancora mi viene da ridere se ci penso. Vederli scappare sotto la pioggia e raccogliersi l’un l’altro mentre cadevano mi fece sentire il più forte del mondo.
Ma non è tempo per raccontarvi queste storie, ora sono solo in questa macchina da novantamila dollari. Mio padre è morto; Alice, sono vent’anni ormai che non carezzo il suo volto e Bobby, alla fine, ha pestato il teppistello sbagliato nel posto sbagliato. Rimango solo io, Jack Vain, detto “the answer”. Ma vi auguro di non conoscermi con questo nome. Per vivere faccio il killer a pagamento, e sono il migliore, il numero uno. Il migliore. “the answer”, voi ci mettete i dubbi, io sono la risposta.

mercoledì 26 settembre 2007

Pensieri in Volo




Capita che stando fermi ad un semaforo, ascoltando Phil Collins, ti vengano in mente certe storie.


Vi è mai capitato di guardare gente felice e sentirvi tremendamente inutili, fuori dal mondo, lontani, distanti?
Era proprio come si sentiva Luca nel guardare i bambini che giocavano, mentre lui consumava la sua esistenza su di una panchina di un parco di città.
A dirla tutta non erano solo i bambini, ma le coppiette che si sbaciucchiavano, la gente che si allenava correndo meticolosamente di qua e di là, i vecchietti che sorridenti davano da mangiare ai piccioni.
-ma si può essere così tremendamente sereni e disillusi?-
Già, era proprio questo che si chiedeva.
Dire che aveva un pensiero fisso non sarebbe esatto, anzi, aveva uno stormo volante di pensieri, cose intime, delicate, profonde ferite del suo animo mal riemarginate.
Mentre si guardava la punta delle dita incrociate, pensava a quella scelta che non aveva mai avuto il coraggio di fare, scelta che gli costò una vita di rospi difficili da mandare giù.
Scorrendo in basso, verso le ginocchia, gli venne in mente quella risposta sferzante che non era mai riuscito a dare nella sua vita a tutti i gradassi che si erano presi gioco di lui.
Lo sguardo sprofondava come il suo umore, in caduta libera.
Fermandosi ad osservare le scarpe di marca, ben tenute, ma che di passi ne avevano da raccontare, pensò infine a quella ragazza, a quando si trovarono faccia a faccia, occhi negli occhi, e lei gli chiese a cosa lui stesse pensando.
Luca rispose che non pensava a nulla ma in realtà pensava:
-non lasciarmi, ti prego, non abbandonarmi, ho bisogno di te.-
Lei lo lasciò poco dopo. Così va la vita.
Mentre tratteneva in petto la tristezza, una ragazza si avvicinò, e senza chiedere nulla si appoggiò al suo fianco.
Luca la guardava senza stupore, rassegnato all’altrui esistenza.
Lei ruppe il silenzio:
-sai, vivere non è poi così male…vivila, la vita.-
Poi lei gli prese le mani e gli diede un bacio candido sulle labbra, e se ne andò.
Luca non aveva la forza di fermarla, si sentiva troppo triste ma, vedendo che nelle sue mani era rimasto un bigliettino col numero di telefono di lei, trovò la forza per sorridere, e per sperare.
Improvvisamente, quei bambini che giocavano, le coppiette e tutti gli altri, non gli sembravano così male, e si sentì uno di loro.
Poi si alzò, mescolandosi tra le varie vite, ma ora, finalmente, guardava in alto.

martedì 25 settembre 2007

il relativismo della Verità (Terza ed ultima parte)




Premessa: la treza parte è quella che mi piace di meno, ma l'avevo scritta e non mi andava di rifarla! : )




Il primo passo è fatto, ormai: mi sono palesemente mostrato ostile ad un uomo di chiesa, cosa che potrebbe farmi meritare il pubblico rogo. Ma non importa, ciò che mi preme è che io mantenga la calma per arrivare fino in fondo, che io riesca ad essere lucido, senza farmi sovvertire dalle emozioni.
Padre Lorenzo ha abbandonato il suo ghigno di superiorità, avverte il pericolo nell’aria e la cosa non gli piace.
È evidentemente preoccupato, il docile mercante, che fino a pochi attimi prima aveva in pugno per via di sua figlia, si è rivelato un ben astuto rivale, e questo lo irrita tremendamente, al punto di fargli scivolare vistose gocce di sudore lungo il volto di pietra.
Continua a ribadire che non firmerà mai tale amenità, gli sorrido quasi benevolo ed impartisco i comandi ai miei figli:

“Non vuole firmare? Crede che quanto scritto non corrisponda al vero? Bene! Lo dimostri…
Miguel, Antonio…vogliate bloccare padre Lorenzo e legarlo per bene con la corda!”

L’espressione dei due ragazzi, appena ventenni, non è delle migliori, in un attimo percepisco il loro smarrimento, lo stupore per aver capito dove io voglia arrivare e, contemporaneamente, leggo la loro accusa di pazzia nei miei confronti.
Ma sono prole ben educata e devota, dopo un primo attimo di tentennamento fanno esattamente ciò che ho ordinato.
Il padre è disteso faccia in giù sulla tavola, non si ribella, troppo è lo stupore. I miei figli prendono la corda e la legano salda ai polsi, avendo cura di mettere bene le braccia di padre Lorenzo dietro la sua schiena. Finito di stringere il nodo, ordino di far passare la corda attraverso il robusto lampadario, in modo da poter formare una carrucola. Mia moglie capisce pienamente il mio sadico disegno e, piena di timore, scatta in piedi e si ritira nelle sue stanza, in lacrime.
Il congegno è armato, guardo padre Lorenzo, mi avvicino al suo volto, lo guardo, lo esamino, il mio fiato è vicino al suo e gli chiedo per l’ultima volta se vuole firmare. Il malcapitato, e badate, non ho usato a caso tale espressione, non emette un suono.

“Bene, non dice nulla? Antonio, Miguel, sollevatelo!”

I ragazzi eseguono.
Vedo il corpo del padre sollevarsi da terra, le braccia tirate verso l’alto, posso udire l’articolazione della spalla scricchiolare. Mi avvicino.
Lo guardo in volto ed aspetto. Il colore roseo di padre Lorenzo passa a toni ben più accesi, posso vedere le sue urla nascere dal profondo del suo petto, farsi strada per la gola ed esplodere devastanti dalla sua bocca:

“AAAAAARRRRRGHHHHHH!!!!”

Urla. Urla come un maiale sgozzato, urla come una donna in preda al panico ma, cosa più importante, urla come i torturati dalla Santa Inquisizione.
Implora il Signore di dargli la forza, ansima e sputa e suda e piange.
Non godo alla scena, non è il suo dolore quello che mi preme, ciò a cui tengo è il risultato di tale dolore, voglio dimostrare fino a che punto può arrivare l’essere umano se sottoposto alla corda.
Il buon uomo di chiesa, secondo i miei auspici, resiste qualche minuto, dopodichè:

“Basta per pietà, basta!!! FIRMO!”

Sentire quelle parole mi rende leggero, soave.
Ordino di lasciarlo andare e gli sottopongo il foglio ed una penna.
Il padre è stremato, mi guarda in lacrime, del tutto devastato dal dolore, devo tenergli il braccio per farlo firmare, tanto è il suo tremore.
Gli sollevo il volto prendendolo per il mento:

“Allora, padre, mi sembra che la corda non sia questo infallibile strumento di giustizia divina, giusto?”

Non risponde e non voglio che lo faccia, mi basta così.

Da quel giorno al momento in cui scrivo, sono passati quindici anni.
Il mio gesto non è valso a salvare la mia piccola, già, l’abate si è opposto alle pressioni di padre Lorenzo affinché venisse liberata. Ma poco importa, mi basta che di Lorenzo nessuno abbia più sentito parlare e che io sia riuscito a dimostrare l’assurdità della tortura.
Strane voci si odono, le truppe napoleoniche stanno invadendo la città portando i loro ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza. Forse il tempo della Santa inquisizione è realmente finito, e forse potrò riabbracciare il mio angelo.
Lo spero con tutto il cuore.

giovedì 20 settembre 2007

il relativismo della Verità (Parte Seconda)





I toni, ormai, sono quelli dello scontro ideologico con risvolti personali e particolari. Sicuramente starete immaginando la scena come quella di un campo di battaglia con due galli dalle piume irte, pronti a beccarsi fino alla morte.
Niente di tutto ciò.
Il Padre, Lorenzo, così si chiama, continua a consumare beato il suo pasto, assapora seraficamente, solleva il calice e controlla il colore rubino del vino e, del tutto rilassato, sorride beffandosi del mio disappunto.
Cerco di giocare le sue stesse mosse e provo a coglierlo in fallo sfruttando i parametri della ragione.
Penso che il buon Dio non possa averci distinto così tanto dalle bestie per poi rinchiudere il nostro volere in stupidi dogmi e regole e comandamenti e chissà quali altre trappole.
Così, provo a stuzzicare il suo ingegno:

“Mi perdoni l’insistenza, Padre. Lei è sicuro, al di là di ogni ragionevole dubbio, della veridicità delle informazioni ottenute tramite la Corda?..aspetti, non risponda subito. Vede, non può essere che, spinto da dolori atroci, il malcapitato sia disposto a confessare qualsiasi verità pur di porre fine alle sue sofferenze?”

Padre Lorenzo abbassa il capo e sorride come se la domanda fosse posta dal più ingenuo dei pargoli o dal più stolto degli uomini. Prende delicatamente il tovagliolo e con grazia femminea asciuga il labbro dall’alone del vino, dopodichè, mi guarda beato e comprensivo, segno che deve avermi preso per uno stolto:

“Mpf, no, mio caro mercante. La corda è uno strumento di Dio, come tale divino e lontano da errori. Il malcapitato, come lei lo chiama, non ha nulla da temere se è nella giustizia di nostro Signore, perché è proprio grazie alla sua innocenza che il Sommo Padre gli darà la forza per sopportare ogni sofferenza”

Incrocia le mani sotto il mento e continua a sorridere, è odioso nella sua tunica corvina. Mi guarda con grandi occhi scuri, le labbra carnose si prendono gioco di me e quella posa, è pura provocazione. Non mi lascio abbattere, sorrido di rimando e mi alzo per ritirarmi nel mio studio.
Immagino che il Padre debba considerarsi vincitore di questa piccola battaglia, lui che rimane sul campo ed io che me ne vado sconfitto, con le spalle al muro, ma si sbaglia di grosso, oh sì, se si sbaglia.
Mi ci vuole veramente poco e torno in sala da pranzo, accolto dagli occhi sbarrati della mia devota moglie e dei miei due figli maschi. Il Padre continua a consumare ciò che io gli ho offerto.
Mi avvicino a lui e gli porgo un foglio di carta bianco avorio, quasi giallastra, dove l’inchiostro è ancora fresco.
Mi guarda.
Lo guardo.

“Bene, Padre, lei sostiene che se è nel vero, ogni uomo può sopportare il peso della tortura, perché aiutato dalla forza del Signore. Quindi, nessuno può rendere delle dichiarazioni che non corrispondano a verità, nemmeno se sottoposto alla corda?”

“Assolutamente corretto, nessuno può essere costretto a sottoscrivere dichiarazioni mendaci contro la sua volontà, perché se è nel giusto ha il Sommo Padre dalla sua parte”

“Molto bene, Padre Lorenzo, a tal proposito vorrei che lei prestasse attenzione a quanto ho scritto su questo foglio che mi appresto a leggere:

- Io, Padre Lorenzo, nel pieno delle mie capacità intellettive, dichiaro senza ombra di dubbio di essere il diretto discendente di una scimmia, di non avere nulla a che fare col genere umano a tal punto da non poter essere considerato un uomo. Dichiaro altresì di aver preso i voti e di essere entrato nel Santo Uffizio col chiaro scopo di arrecare danno a tale istituzione e di aver vissuto sempre nel peccato ignorando le leggi del Signore. –“

“Ma…quale idiozia è mai questa?”

“Firmi quanto è qui riportato, Padre”

Mi guarda stupito, non tanto per il contenuto della dichiarazione, ma per la decisione che legge limpida sul mio volto.

“Firmare? Non firmerò mai tale sciocchezza”

“FIRMI, Padre!”




continua...

martedì 18 settembre 2007

Il relativismo della Verità




Raccontino in due parti liberamente ispirato dal film: L'ultimo inquisitore.


In questa stanza del regno di Spagna, al calar delle tenebre, riscaldato da un virtuoso fuoco, scrivo quanto mi è accaduto, affinché i più sappiano che il sistema può essere sconfitto, che se applichiamo la ragione nel giusto verso, anche il dogma più tenace può essere rovesciato.
Sono lo sventurato padre di una giovane creatura di quattordici anni.
Lei è bella, talmente bella che il Goya l’ha voluta come modella per i suoi angeli.
Ha i capelli che sanno di dolcezza, di passeggiate nei giardini reali, occhi che scioglierebbero l’animo del più vile degli uomini, delle labbra candide che non mi appresto a descrivere solo per mantenere la compostezza di un padre di famiglia che vive nel timore di Dio.
Già, il timore di Dio, questa è la sudicia arma che la Santa Inquisizione riesce a puntarci contro.
La stessa Santa Inquisizione che due giorni fa ha preso il mio angelo e lo ha portato tra le sue austere mura.
Giudaismo. L’accusa è di giudaismo, e perché? Perché la mia piccola è stata colta mentre rifiutava della carne di maiale. Luridi porci, sì, loro sono maiali, talmente ottusi da non capire che una giovane ragazza può semplicemente detestare al gusto la carne di maiale.
Per voi che vivete al comodo delle vostre dimore, la vita così come si svolge negli anfratti può significare nulla, ma vi assicuro che dove cala il buio, lì l’animo umano si rivela per quello che è: vile e crudele.
So cosa si pratica nelle stanze del Santo Uffizio e so che la mala sorte ha colto la mia bambina.
Sono un ricco mercante, diciamocelo, ogni cosa ha un prezzo, anche la libertà di mia figlia ce l’ha.
Non basta molto, un semplice invito a cena inoltrato al capo dell’Inquisizione, la promessa di una copiosa donazione per la Chiesa e mia figlia sarà rilasciata.
Porci corrotti.
Il bello deve ancora venire, però.
Nel bel mezzo della cena faccio la mia proposta d’affari al Padre, un forziere colmo di monete d’oro, può bastare.
Cosa fa il lurido verme? Accetta, ma aggiunge:

“Per la donazione le siamo molto grati, e le assicuro che il suo nome verrà scritto nella pietra della chiesa affinché tutti sappiano di lei e della sua generosità, quanto a sua figlia, mi spiace ma nulla posso fare, ha confessato!”

Un tonfo al cuore mi deruba per un attimo della mia ragione, il tempo di rinsavire e la domanda fuoriesce limpida dalla mia bocca:

“Confessato? Questo significa che…”

“Già, significa che sua figlia è stata sottoposta alla Corda”

“Corda? Luridi…vorrà dire che è stata torturata!”

“Torturata…vede, noi uomini di chiesa non usiamo tale termine, è stata sottoposta alla Corda, e secondo il dogma, ciò che è confessato grazie all’ausilio della corda ha valore di prova legale!”

“Ma mia figlia non sa nemmeno cosa significhi –giudaismo-!!!”


continua…

giovedì 13 settembre 2007

Sondaggio-Gradirei il Vostro parere!





Vado subito al sodo: amo la psicologia da sempre, da quando ero alle medie, più o meno. Ho sempre letto articoli, inserti, saggi di psicologia con molto piacere ed avido interesse. Bene, cosa studio? Giurisprudenza!
La scelta della facoltò di legge è stata determinata da motivi abbastanza stupidi che ora non enuncio, sta di fatto che ho continuato su questa strada. Già verso il secondo anno mi era chiarissimo che la cosa non faceva per me, ma avevo già dato molti esami con buoni voti (sono uno che studia) e non mi sembrava il caso di mollare. Ad un certo punto della mia vita, circa due anni fa, ho iniziato ad ammalarmi, dopo due anni di medici il risultato è che sono sano come un pesce: si tratta di somatizzazioni. La mia situazione è abbastanza spiacevole, non dico quali sono i miei sintomi, ma vi assicuro che mi rendono la vita un inferno e condizionano moltissimo le persone che mi sono attorno e che mi vogliono bene. Secondo la mia psicologa, sì, per malattie psicosomatiche la via di cura è l'analisi, dicevo secondo lei, la mia mente ha tenuto la situazione sotto controllo finché ha potuto, poi, il mio corpo si è ribellato in malomodo. Ora sono ad un punto di rottura, i miei sintomi si acutizzano nel momento in cui apro un libro di diritto, con attacchi di panico annessi...
Quindi, ho deciso: mollo giurisprudenza che mi sta altamente sul cazzo e mi sta sul cazzo quello che potrei diventare con questa laurea.
Ah, la cosa più importante...mi mancano QUATTRO esami per laurearmi...ed i voti, per il 70%, vanno dal 26 al 30 e lode...
Sapete che vi dico? sti cazzi, io mi iscrivo a ventisette anni a psicologia, perché è quello che ho sempre voluto fare...
Una cosa mi assilla: è una scelta coraggiosa, vile o semplicemente stupida?
Mah...sta di fatto che già sono più contento!

mercoledì 5 settembre 2007

Solo per un brivido




In uno squallido ufficio, di uno squallido detective privato, in una squallida città, la vita scorre secondo piani e regole del tutto falsate rispetto a quello che voi potreste chiamare “normalità”.
La pioggia si suicida rumorosa lungo il vetro della finestra e il detective sente la metropoli come un pugno ben assestato alla bocca dello stomaco.
Il buon Jack cerca un minimo di spazio nel posacenere ormai colmo di mozziconi, ma alla fine si arrende alla necessità di ciccare sul pavimento ormai sudicio da anni.
Il fumo esce dalla bocca e crea vive figure pronte a dissolversi in un attimo. Jack si accarezza la barba poco curata e pensa che quel gioco di forme gli piace, come quando da bambino giocava con le bolle di sapone, solo che ora al suo posto c’è dell’aromatico tabacco, capace di poter bruciare ogni singola cellula sana all’interno di quei polmoni malandati.
Non un cliente da mesi: la vita a volte ti sputa in faccia e non fai in tempo ad asciugarti che già ti ha dato un bel calcio nel culo.
Mentre butta giù un sorso di fuoco e soffia aria calda vede una figura davanti alla sua porta in vetro opaco.
Non bussa, non si presenta, non sorride, entra semplicemente con fare sicuro, come un giaguaro con la preda e sbatte un bel seno tondo dritto davanti la faccia di Jack.
Lei è mora, ha i capelli che sanno di paradiso, una bocca fatta per mentire ed un profumo che renderebbe idiota anche il più arguto degli uomini.
Il silenzio diventa improvvisamente più eloquente di mille parole. Si guardano, lui riesce a fare una smorfia simile ad un sorriso, lei, lo asseconda col movimento del corpo. Leggera come l’aria muove quei tacchi alti almeno dodici centimetri attorno alla scrivania, divarica le gambe del detective e ci si pianta dritta in mezzo e, guardandolo dall’alto, con una voce profonda ma tremendamente femminile:

“Dicono che sei uno bravo, credi di esserlo abbastanza per me?”

“Tu dimmi cosa c’è da fare, ed al resto ci penso io.”

La donna a questo punto sorride beffarda, ha una strana luce negli occhi ed emana una vibrazione che ha il sapore di guai.

“Ci penso io? Non credo proprio, bello…lascia fare a me.”

L’angelo demonio si china lentamente, afferra il detective dietro la nuca e lo immobilizza con un bacio fatale. La pioggia continua la sua danza tribale sui vetri della finestra lasciando intravedere le sagome dei due, buie, illuminate da una tenue lampada da scrivania. Ora sono uniti, lei lo sovrasta decisa dall’alto, lui, asseconda il suo volere rimanendo con una mano sul bicchiere e l’altra con la sigaretta tra le dita.
Terminato l’attimo di passione la donna si volta con un fare che lo drizzerebbe anche ad un morto, solo il rumore dei tacchi a spillo l’accompagna verso l’uscita, un attimo, velocissimo e si gira sorridente e soddisfatta, come se avesse provato mille orgasmi:

“Avevano ragione…sei uno bravo, bye bye detective.”

E con un piccolo cenno della mano di fata, richiude la porta alle sue spalle e svanisce nel buio di uno sporco corridoio, lasciano lo squallido detective, in uno squallido ufficio di una squallida città, a riflettere sulle regole della vita, ma con il profumo di un angelo sulle labbra.

domenica 26 agosto 2007

Prendi Questo Filo...




È un giorno come tanti, forse c’è una brezza frizzante che rende il lavoro un pelo più piacevole di quello che sarebbe normalmente. A dirla tutta è un buon giorno per costruire strumenti di morte.
Con questi pensieri il ragno, con fare da saggio guru, si appresta a fabbricare la sua tela di disperazione, certo, per lui quella tela rappresenta la madre delle speranze, la promessa di cibo succulento, ma per altri malcapitati, la stessa tela è l’inequivocabile simbolo della vita che scorre via fino a spegnersi nell’ultima lacrima.
Un filo dopo l’altro, la costruzione dalla geometria perfetta prende forma, è come un parto, un dare alla luce una propria creatura e vederla muovere i primi passi, lanciarsi verso il mondo ed interagire con esso.
Una semplice tela, tesa a vela a simboleggiare la dedizione delle creature del creato verso i giochi di potere.
Resta ben poco da fare, solo aspettare, magari soffrire per i morsi della fame, ma comunque è un dolce sperare.
Questione di tempo, ovviamente, e la piccola mosca ci sbatte il muso, e, dimenandosi all’impazzata, fa il gioco sporco del ragno: le sue piccole ali rimangono invischiate nei filamenti appiccicosi, rendendo impossibile e spasmodico ogni più tenue movimento.
È un dolce abbraccio letale, la mosca lo sa, e sa cosa le aspetta. Ruota cento occhi forsennatamente, cercando la schifosa figura del boia che, prima o poi, si farà vivo.
Ed alla fine si fa vivo, lento ed inesorabile, fiero nella sua camminata articolata e delicata, come le piccole dita di una giovane fanciulla che vanno a pizzicare le corde ben tese dell’arpa.

“Salve, è un buon giorno…non ti pare?” - dice sprezzante il ragno. -

“Buon giorno? E per cosa, di grazia?” - schietta e rassegnata, la mosca. -

“Ma va là, mi sembra fin troppo ovvio, è un buon giorno per morire!”

…Morire…quel verbo risuona nella testa della mosca come un vetro infranto, come un urlo gelido nella notte, eppure, non riesce ad essere totalmente terrorizzata, forse, è scritta nel codice genetico di ogni creatura la più grande verità di sempre: il debole soccombe rispetto al più forte; e la mosca lo sa, oh sì se lo sa.

“Sai, ti vedo così, incapace di muoverti, in balia del mio potere, prigioniera della mia tela, ed immagino che tu ti stia ponendo molte domande, prima fra tutte, quando deciderà di farla finita?...è una sensazione disgustosa, lo so!”

“Ah, sì? Lo sai? Non credo proprio che tu capisca come ci si senta, lurido mostro…senza offesa, ovviamente!” – ribatte garbata la mosca- .

“Figurati, nessuna offesa, ci sono abituato…vedi, lascia che ti spieghi una cosa: Da quando corpi informi si sono trascinati fuori dal brodo primordiale la vita non è stata altro che una relazione di giochi di potere.
Certo, verrebbe da pensare a grandi episodi, come, ad esempio, la sottomissione del popolo ebreo da parte degli egiziani, la congiura che portò alla morte di Giulio Cesare, le poverette bollate come streghe e bruciate vive dalla Santa Inquisizione, anche i vari attacchi terroristici e le conseguenti guerre “legittime”.
Nel nostro piccolo, però, ci sono questioni che, apparentemente, sono del tutto insignificanti, ma che , a ben vedere, sono decisamente rilevanti…”

“Questioni?” – un po’ seccata la mosca –

“Beh, il fatto che tu sia prigioniera ed io rappresenti il tuo carnefice mi sembra una questione non di poco conto, ma che, magari, per un altro è del tutto superflua”

“Capisco…”

“Voglio raccontarti una cosa: vedi quell’uomo che sta bevendo un caffé seduto in giardino?
Un giorno me lo sono trovato davanti, era mastodontico, altissimo, sentii ogni mia articolazione bloccarsi come una statua di marmo e diventare ugualmente gelida…sai cosa più mi terrorizzava? Guardava me, mi fissava, senza espressione, senza un sentimento vivo che potesse fuoriuscire dagli occhi. Gli umani…hanno solo due occhi, ma sanno farti rabbrividire come se ne avessero una decina…la cosa che ora mi fa ridere è che io, il ragno, una macchina letale, un maestro di geometrie sconosciute ai più, fossi totalmente in balia del terrore ed aspettassi che si compisse il mio destino, senza nemmeno interrogarmi su di esso…cosa era successo? Semplice, avevo incontrato uno che esercitava un potere ben più grande del mio, con una semplice pedata avrebbe potuto farmi provare dolori indicibili e spegnere la mia vita nel modo più ignobile per un fiero aracnide!”

“E poi che accadde?” – curiosa la mosca. –

“Mah, la cosa più inaspettata di tutte: se ne andò. Capisci? Ero ad una passo dalla morte certa e quell’essere mi ha risparmiato, da non crederci”

“mmm…immagino che ci sia una morale in tutto ciò!”

La piccola mosca nutre una flebile speranza, forse il ragno potrebbe esercitare il suo potere in altro modo, forse potrebbe decidere di non esercitarlo, forse potrebbe liberarla e lasciarla andare a riflettere sull’accaduto.

“Morale? Forse…” - ora il ragno ha un sorriso maligno. –

Mentre sorride, l’essere ad otto zampe comincia a tessere un sudario di terrore e disperazione attorno alla piccola mosca. Filo dopo filo il piccolo insetto scompare dietro quello che è il suo sarcofago mortale.
Il fato della piccola mosca si sta compiendo e tutto scivola morbido nel tempo, come se fosse normale, come se quella piccola scena di terrore e naturalezza dovesse consumarsi ineluttabilmente, ma qualcosa accade.
Mentre il ragno si appresta a dare il suo morso paralizzante la luce si attenua, come una piccola eclissi, il sole ormai non riscalda più e non fa risplendere la magnifica tela, solo ombra.
Il ragno si gira incuriosito ed un po’ spaventato, nel mondo della natura i cambiamenti repentini non sono mai visti di buon occhio ed il piccoletto geometra sa che non ci si può distrarre un attimo.
Il timore, purtroppo per lui, risulta fondato: un bambino, di circa otto anni, è alle sue spalle, lo guarda sorridente mentre solleva il suo braccio e fa librare nell’aria un bastone di legno.
La piccola mosca riesce a vedere bene la scena, percepisce l’attimo di pausa che c’è tra il punto di altezza massima del braccio e la caduta in basso del bastone, è come un pendolo, in omaggio al signor Poe, la mosca lo sa perché svolazzava un giorno nei pressi di un tale che leggeva il racconto a voce alta.
Come una furia, il bastoncino di legno si abbatte contro la ragnatela, tutta la fatica, tutti i fili, il sudore, l’impegno, vengono recisi e strappati via, il terreno solido manca sotto le otto zampette ed al ragno non rimane altro che tuffarsi nel vuoto.
La caduta a terra è poco traumatica, ma il ragno sa cosa sta per accadere, il ragazzino ha solo cominciato.
La scena si consuma velocemente: il bambino assesta un colpo preciso col piede e schiaccia il ragno.
Il poveretto sente la pressione sul suo corpo, prova, per istinto, a contrastare la forza dirompente del bambino, ma c’è poco da fare, il suo ventre esplode in un attimo, riversando sull’erba un liquido giallastro.
Per ironia della sorte il ragno conserva un briciolo di vita per rendersi conto che accanto a lui c’è la piccola mosca, ancora avvolta nella tela.
In un ultimo sforzo, il ragno trova il modo di parlarle:

“Non devi preoccuparti, qualcuno ti libererà entro sera, per me, invece, non c’è più nulla da fare…che avvilimento, schiacciato da un moccioso!”

“Sai, credo che tu abbia ragione…qualcuno mi libererà, però, perdonami, ma non posso fare a meno di pensare alla storiella sul potere che mi hai raccontato…credi che quanto sia accaduto abbia una morale?” – sussurra pietosa la mosca –

“Morale? Mah, forse…”