sabato 28 luglio 2007

Il Sole Fuori



Suona la sirena dell'ora d'aria.
I primi tempi avevo un sussulto, come quando da bambino suonava la ricreazione,
ma qui impari presto che la vera ricreazione è quando sei al sicuro in cella.
Un'ora d'aria per sparare alle gambe alla follia galoppante.
Regola numero uno:
"Se non conosci nessuno, non parlare con nessuno"
Io non lo sapevo, ma il suono secco del mio naso che si rompe riecheggia per ricordarmelo.
Sento dalla zona pesi:
"Hei, bel culetto...lavati bene che oggi mi tira!"
Il Rosso...non guardarlo, non rispondere, non sorridere...
Fumare, voglio solo fumare, cinque minuti appoggiato alla rete per immaginare cosa succede sul pianeta Terra,
mentre in questo buco nero, fuori dal tempo, sopravvivo.
Chiudo gli occhi, il fumo caldo mi batte il petto dal di dentro, vorrei piangere ma non posso...
gli esseri umani piangono, e qui non lo sono più.

mercoledì 18 luglio 2007

03- Andrea R.- Whisky, Donne e Sigarette.




Premessa:

altro raccontino dedicato ad uno dei miei più cari amici, e quindi anche in questo caso molte cose potranno essere capite solo da loro!
Nello scrivere e pubblicare il post voglio salutare Andrea con tantissimo affetto e scusarmi pubblicamente per non farmi sentire spesso, scusami Miguel!



“La uno in buca centrale, due sponde…”
Con questo tiro Andrea dimostra che fare filone e rinchiudersi in sala giochi, davanti ad un tavolo da biliardo, può dare i suoi buoni frutti.
Essendo un vero signore, non si scompone più di tanto per la vittoria coreografica, ma si accende una fragrante Camel ed aspira una boccata di piacere, poi, si dirige verso il bancone dimenandosi tra gente dal sapore etilico e ragazze un po’ troppo provocanti.

“Whisky!”

“Subito capo…”

Già, il locale non troppo raccomandabile è il suo, non lo gestisce tutto da solo, ma con un socio, uno di quelli di vecchia data, al quale potresti affidare la cosa più cara, sicuro che lui la tratterà bene.
Mentre viaggia col pensiero, tra salti interpretativi vari e sorsi di fuoco, si avvicina lei.
Lei è una di quelle donne fresche, ha il mistero sulle labbra ed una buona storia da raccontare che a stento riesce a contenere negli occhi di brace.

“posso?”

“Cero che puoi, bevi qualcosa?”

“mah, tu cosa stai bevendo?”

Andrea, solleva le spalle ed indica il bicchiere con una tale innocenza che risulta quasi ovvio il suo contenuto.

“del buon Whisky, ne vuoi anche tu?”

“Whisky…perché no!”

La ragazza ci sa fare, si avvicina quel tanto da solleticare l’olfatto del suo compagno di bevuta, ma non troppo da risultare sfacciata.
Questo, inevitabilmente, stimola la fantasia da rimorchio di Andrea, facendogli fare una lunga, decisa boccata dalla sua sigaretta.
La ragazza sembra decisa a sapere qualcosa di più e va giù con le sue domande come un felino non ammaestrato:

“bel locale, dicono che sia tuo, è vero?”

“beh, sì, al cinquanta per cento…sai, ho un socio.”

“Ah, e senti, cosa sono quei due fogli incorniciati dietro il bancone?”

“Sono le nostre due lauree in giurisprudenza…”

“sei laureato in legge?”

“beh, tutti fanno degli errori, questo è il mio, ma sembra che le cose non siano andate poi così male”

“mmm…adesso si spiega tutto…”

“tutto?”

“dico, il nome del locale…-Illegal-, per due laureati in legge mi sembra un nome azzeccato!”

“già…già, e senti, tu cosa fai nella vita?”

I due continuano a parlare a lungo, fumando e bevendo come due buoni amici, ma con il puzzo di sesso che ormai sale fino al soffitto.
Lei è accorta a non sbilanciarsi troppo, e questo fa impazzire Andrea, che invece è famelico di informazioni.
Lui, non ha mai avuto una tempistica dilatata e si spazientisce nel calcolare il momento adatto per il primo bacio, nell’attesa, continua a guardarla e ad ammiccare lascivo.
Andrea sente un brivido lungo la schiena, è il segnale che il samurai che è in lui sta per scendere in campo, tra poco lei sarà tra le sue braccia e finiranno sicuramente in un letto accogliente, tra risate e sudore e acrobazie varie.
Il ragazzo gia immagina la notte di passione e non riesce a trattenere un piccolo sorriso pensando a quando sfodererà quella che lui chiama “la Varra Universal Mind”… uno dei tanti nomi che ogni buon maschietto attribuisce al proprio membro, una cosa forse non troppo matura, ma decisamente divertente.
Nel momento preciso dell’attacco, lei lo blocca con una domanda cruciale:

“Scusa, qual è il tuo colore preferito?”

“c-come?”

“sì, il tuo colore preferito, ne avrai uno, immagino…”

La ragazza, invece, immagina male, Andrea non ha particolare attenzione per i colori, dire che per lui sono tutti uguali forse è troppo, ma siamo vicini alla realtà.
Fatto sta che il ragazzo rimane pietrificato dal quesito e, nell’innocenza totale, risponde la verità o, meglio, non risponde affatto.
Lei, che non si sa perché non ha ancora pronunciato il suo nome, si alza, lo bacia sulla guancia, sorride e, senza troppe cerimonie, svanisce tra ubriaconi e fumo.
Lui, in un attimo di follia urla:

“il mio colore preferito è quello che fanno le lucciole di notte!”

La ragazza sente, o forse no, Andrea non lo saprà mai e rimarrà sempre il dubbio di quella sconosciuta ad un passso dalla sua varra, eppure così lontana.
Il nostro amico non può far altro che chiamare il suo socio e raccontare l’accaduto davanti ad una buona sigaretta:

“tieni, fuma…fuma come nessuna ha mai fumato”

e la serata passa così, tra racconti di donne, sigarette e whisky.

venerdì 6 luglio 2007

IL PIRATA! Tocca al Gabbrio!




Questo post è l'adempimento di un dovere o, meglio, l'accoglimento di un invito.
Da tempo gira sul circuito dei bloggers legati al mondo del fumetto una sorta di catena di Sant'Antonio, è una cosa che riguarda solamente i disegnatori, si tratta di disegnare una personale versione di un pirata.
Il giro è giunto fino a GIACOMO BEVILACQUA, giovane disegnatore dell'Eura editoriale, molto, molto bravo, autore del Batman che porto tatuato sul corpo (la cui foto posterò a breve, insieme al Dylan Dog disegnato da RICCARDO TORTI) e ragazzo simpaticissimo. Potete trovare il link al suo blog nella colonnina di fianco, vi esorto a visitarlo, è veramente bravo.
Comunque, questo cavolo di Giacomo, al posto di passare la palla del pirata ad altri disegnatori, l'ha passata a due scrittori, cioè ad uno scrittore, LORENZO BARTOLI, il mio insegnante di sceneggiatura e scrittore di John Doe, Arthur King, romanzi, Tigri di CArta ecc. ecc., nonché uomo unico, c'è sempre il suo blog nella colonnina di fianco, visitatelo, visitatelo, visitatelo!!!
Quindi, dicevo, ha passato la palla ad uno scrittore e ad un pischelletto, cioè io.
Quello che ne è uscito fuori è un metaracconto dove parlo di un improbabile dialogo tra JAMES MATTHEW BARRIE (l'autore di Peter Pan) e la sua neocreatura, il CAPITAN UNCINO. spero che questo raccontino, un pò surreale, vi piaccia.
OK, buona lettura e grazie a Giacomo per lo spunto!

Ah, passo la palla a:

CIRINCIONE

IL MATTA Manlio Mattaliano

trovate i loro blog nella colonnina di fianco, scusate l'ignoranza, ma non so mettere un link! uffa!








La nascita di un nuovo personaggio è qualcosa dal sapore di divino, ha a che fare con le potenze della mente, impegna concetti come “vita”, “morte”, “destino”, ma può anche essere qualcosa di estremamente dolce, intimo come un respiro caldo dietro la nuca, edificante e divertente.
Molti si sono cimentati nel plasmare figure, gesta, archi di vita più o meno brevi e, come ogni cosa, anche questa ha un inizio, nobile o no, ma ce l’ha.
In una mattinata fresca, con le foglie inquiete sugli alberi, James Matthew Barrie ebbe il suo primo incontro con una creatura affascinante, una sua creatura:

“Buongiorno...!”

“Hem, buongiorno…sì, certo…ma tu chi sei?”

“Mi chiamo James…James Matthew Barrie”

“Ah…e, per caso, non sapresti come mi chiamo? Sai io non lo so…”

“Beh, è ovvio che tu non lo sappia, ancora non ti ho dato un nome…”

“Prego…?!”

“Ecco, vedi, io sono uno scrittore, invento storie, mondi, le persone che li popolano…sono tutte mie creature, e tu sei una di quelle…però, ancora non ho deciso nulla di te, non saprei bene cosa farti fare…”

“Ah, e senti, cosa faccio, dimmelo dài…sono curioso. Chi sono? Cosa faccio? Con chi lo faccio? Dove mi trovo? Quando? Come? Su, su, dimmi!”

“Calma, calma…vediamo, ho voglia di scrivere un romanzo d’avventura, ho già un protagonista, è un ragazzino che si trova in un posto che non c’è, non cresce mai, può volare e…vabbé, senza che ti spiego…mi serve l’antagonista, vuoi esserlo?

“Antagonista? Mmm, non saprei, non voglio essere un cattivone che poi muore ed è odiato da tutti!”

“Certo, certo, osservazione legittima…però, senti, ti farò affascinante, temerario, misterioso, un po’ comico e…non morirai.”

“Non morirò? Promesso?”

“Promesso…”

“Senti, ho capito che sei tu il capo, anzi, forse dovrei chiamarti papà…però, mi spieghi perché sono nudo?”

“Beh, non ho ancora deciso chi sei, non hai un mestiere, un ruolo, sei così, allo stadio primordiale, quindi sei nudo…ma risolveremo presto... tu hai qualche idea su quello che vuoi essere?

“Beh, ecco, io un’ideina ce l’avrei, però, non so se va bene, magari è una cazzata…”

“No, dài, dimmelo…”

“beh, io vorrei fare il pirata!”

“Pirata…pirata, pirata, pirata…ma sì, mi piace, facciamo Pirata, anzi non un semplice pirata, ma il comandante di una ciurma di pirati, il più importante, quello che dà ordini, il punto di riferimento, il faro nella notte buia! ...ora aspetta un attimo che ti faccio una prima descrizione, ci vorrà poco”.

E il nostro scrittore iniziò a pensare, quello che ne venne fuori fu una figura imponente, importante, fiera.
Ad un tratto il nostro antagonista, nudo come un verme, si trovò in abiti da pirata, stivaloni di pece, lucenti, pantaloni di velluto, colorati di un rosso sangue caldo ed avvolgente, un forte cinturone di duro cuoio nero, la fibbia grande, dorata, con pietre lucenti incastonate e pronte a riflettere la luce del sole; la camicia merlettata, bianca, candida e regale, il cappotto da signore, anche questo rosso e con la camicia che fuoriesce sulle maniche. Ancora: barba incolta, baffo sottile e lungo, pungente e compatto…un baffo da equilibrista sognatore, ottimo per stabilire la direzione del vento con precisione da lanciatore di coltelli, bendato. Cappellone magico a coprire un po’ la lunga chioma corvina, boccoli tondi da flagello del mare.
A ben vedere mancava un particolare, quel quid che desse un tocco di classe, James ci pensò a lungo ed alla fine decise: al posto della mano sinistra, un sinistro, luccicante, appuntito, ricurvo uncino.

“Ecco fatto, che te ne pare?”

“Cavolo, ci sai fare tu…ma guardami, sono bellissimo, un vero pirata…non capisco bene la mossa dell’uncino, ma dona un certo non so che!”

“Sono contento che ti piaccia…ora, però, mi devi aiutare, devi un po’ calarti nel personaggio…”

“Tipo?”

“Beh, prova a parlare da pirata, dimmi quali sono le tue intenzioni, cosa pensi di fare ora che sei il capitano della nave…”

“Aspetta che ci penso…

Farò grandi cose, solcherò i sette mari col mio vascello, sarà la mia casa, il mio rifugio, il simbolo del mio potere. Farò innalzare la bandiera nera col teschio così in alto che sarà impossibile non vederla. Domerò le onde con la fermezza di un dio, cavalcherò la tempesta e mangerò tuoni e fulmini. Saccheggerò, ruberò, le navi affonderò, ma senza rabbia, senza vigliaccheria, no, ma con l’onore e il rispetto di un vero gentiluomo. Osserverò il codice della pirateria, dirò sempre la verità, la quale è di gran lunga più divertente della menzogna, sarò fermo con la ciurma ma terrò sempre il morale alto con fiumi di rum e, quanto è vero iddìo, prenderò quel ragazzino e gli farò assaggiare il freddo metallo del mio uncino!
E a tutto il mondo urlerò il mio nome, che lo portino i venti da oriente ad occidente, che lo sappiano gli uomini, animali, monti, mari ed ogni creatura vivente…il mio nome è:
CAPITAN UNCINO!”

“Benissimo, perfetto!…ora, ti manca solo una cosa, un tuo solo comando ed apparirà, come per magia, la tua ciurma di manigoldi e il tuo vascello…devi solo dirlo e la fantasia sarà la tua unica realtà.”

“Un mio comando? …Ah, ci sono…

CIURMAAAAAAAAAA, ALL’ARREMBAGGIOOO!!!"

domenica 1 luglio 2007

02- Andrea C.- C'è tempo per morire




Kuntz è un ingegnere, e come tale ha un approccio alquanto scientifico verso i problemi della vita, anche i più banali.
Infatti: “è una cosa difficile da farsi, ci vuole impegno, dedizione, occhio, sangue freddo ed una certa conoscenza della fisica e delle dinamiche dei fluidi”
Questo è quello che stava pensando Kuntz al mattino, riferendosi alla difficoltà oggettiva insita nel tentare di fare centro nella tazza del water, con gli occhi ancora chiusi dal sonno.
Fu proprio quella mattina che Kuntz, dopo essere riuscito a centrare il buco, tornando in camera, ebbe un’amara sorpresa.
Pensava di ritrovare nel letto la sua ragazza, di vederla dormire con un mezzo sorriso che sicuramente l’avrebbe trasformata in una fata, quel sorriso dolce, capace di fermarlo per un po’, sul posto, a riflettere su quanto fosse fortunato ad avere qualcuno con quel sorriso nel proprio letto.
Qualcosa, però, andò diversamente.
Nulla di quello che gli si mostrava poteva lontanamente somigliare alla sua ragazza.
Quello che vide fu un orrendo, fetido e raccapricciante mostro: gli occhi vitrei, la postura curva, lo sguardo totalmente assente, la bocca completamente aperta e grondante bava.
Si muoveva a scatti, lentamente, non riusciva a pronunciare qualcosa che fosse diverso da un rantolo, un verso cupo e gutturale, freddo, lontano.
Kuntz, sgranò gli occhi e subito ebbe l’istinto di afferrarla, di chiederle come stesse, di urlare il suo nome, ma proprio in quell’istante, ciò che prima era la sua ragazza lo aggredì, cercando di mordergli il braccio. Sentì il corpo di quel mostro appoggiarsi famelico al suo. Lo guardò per un istante e il ribrezzo, la paura, forse un destato istinto di sopravvivenza, gli fecero fare ciò che era più giusto: la scaraventò contro il muro con tutta la forza che può avere un robusto ragazzo di un metro e novanta, forse più.
L’urto fu fatale, non tanto per la spinta, quanto per la caduta di testa contro lo spigolo del mobile.
Era perfettamente visibile lo squarcio in piena fronte, dalla sezione triangolare, l’interno era scuro, buio, come un mondo sconosciuto e terrificante, sarebbe sembrato vuoto, se non fosse stato per l’abbondante sangue purpureo che fuoriusciva copioso da quella ferita e si allargava sul pavimento, colorando la stanza di morte.
Kuntz, che ha un approccio razionale alle cose, rimase composto, anche mentre quello che era la sua ragazza giaceva senza vita in quell’involucro fetido, e meccanicamente si vestì, con la vitalità di un automa.
Prese le chiavi dell’auto, la sua macchina fotografica ed uscì di casa.
Una volta uscito, la brezza del mattino gli congelò l’unica lacrima che riuscì ad emettere.
Evitò di prendere l’auto e si allontanò solo per le strade, deserte…
Ovunque, i colori della desolazione avevano preso piede, auto abbandonate per strada, cartacce mosse in un’assurda danza dal vento e quell’odore, odore di morte.
Scattò qualche foto, così, con l’occhio di chi non comprende il perché delle cose,e adagio continuò per la sua strada.
In quel momento sentì di nuovo quel rantolo, ma era più grasso, feroce e vorace.
Fece per girarsi, col petto immobile ed il fiato intrappolato nei polmoni.
Il cuore batteva ritmi assurdi, il vento lo accarezzava dolcemente, facendolo rimanere lucido quanto basta.
Ce n’era un altro: alto, robusto, la stessa espressione assente e la stessa bocca schifosa.
Aveva un morso all’altezza del trapezio, era grande, profondo e dai bordi rosso vivace, ma non sanguinava. La bestia immonda si avvicinava a passo lento, con le braccia tese, il movimento irregolare e la bocca famelica.
Kuntz rimase fermo, pensava alla sua ragazza, alla fine che aveva fatto e per un attimo desiderò raggiungerla, lo desiderò con tutto se stesso.
La desolazione, l’odore di morte, l’idea di essere l’unico essere umano rimasto in vita lo schiacciarono al suolo, impotente e rassegnato.
Volle la morte, la desiderò col cuore e col pianto di un bambino.
Decise di non opporre resistenza, lo decise proprio quando la bestia era a pochi passi da lui.
Solo una cosa, una foto, l’ultima.
“Flash”
In quell’istante Kuntz assistette all’agonia di un mostro, lo vide contorcersi e dilaniarsi al suolo.
Si agitava frenetico, le mani a coprirsi gli occhi e le gambe roteanti, in una danza zoppa.
Pochi minuti gli ci vollero per morire del tutto.
Non ci volle molto per capire che era stata la macchina fotografica ad uccidere quell’essere, non era stato il caso, non un colpo di fortuna, no, era stata la macchina.
Girò per tutta la giornata, facendo strage di mostri, si sentiva un eroe…e forse lo era.
Il pensiero della morte era lontanissimo, ora voleva vivere, aveva trovato uno scopo.
Ad ogni scatto assassino gli sembrava di vendicare la sua ragazza, uccidendo quei mostri aveva come la sensazione di restituirle un minimo di dignità di essere umano.
Si fermò un po’ su di una panchina, era lì a pensare, quando sentì un passo.
Si girò inforcando la macchina ma quello che vide fu una sorta di miraggio: un essere umano, uno vivo, ed anche lui impugnava una macchina fotografica.
I due si capirono al volo, anche se non lo sapevano avevano molto in comune.
“piacere, io sono Kuntz…”
“il piacere è mio, mi chiamo Sistemalimbico, ma tu puoi chiamarmi Balé”
“anche tu hai capito come ucciderli, vero?”
“Si…è stato un caso, quasi ci rimanevo secco…”
“Anche io, e pensare che volevo morire, sai, la mia ragazza è diventata una di loro…”
“Capisco…ma ora devi venire con me…”
A quel punto Kuntz lo guardò con aria interrogativa, capì subito che Balé sapeva qualcosa e con un fiato di voce:
“Venire?...”
“Certo, dietro questo sfacelo c’è qualcuno, c’è sempre qualcuno…”
“E tu sai dove andare?”
“Si, è un essere malefico, senza scrupoli, solo lui può aver architettato tutto questo…”
“C-cosa…ma di chi parli?”
“l’essere più spietato della terra, il Cellone…ma ora non ce tempo, è ora di porre fine a tutto questo…vieni.”
Così i due si allontanarono verso il tramonto, con le loro macchine fotografiche, inseguendo un destino di pietra.
Kuntz guardava il suo compagno di viaggio, sembrava avere una lunga storia nascosta nel cuore, voleva chiedere, sapere, ma rimase in silenzio, pensò di risparmiare fiato, per la prossima battaglia.