venerdì 30 dicembre 2011

Il Piano C. #3 - Il Piano A pt.3 -


Posto con tutti i migliori auguri per il prossimo anno, dopotutto, quanto segue parla di progetti!



Finita la storia con Marta inscatolai tutto. Presi le sue foto, le nostre foto, qualche cianfrusaglia accumulata in tre anni, la mia macchina fotografica e riposi tutto nel garage di Bonnie & Clyde. 
Il Piano B durò poco perché ne ero infatuato, non innamorato. A dirla tutta pensai seriamente di poter diventare un artista e mi ci vedevo pure. Mi immaginavo in un loft a New York con le pareti piene dei miei lavori e di riviste che avevano una mia foto in copertina. Avrei partecipato ad incontri con persone famose e sarei stato uno di loro; avrei rilasciato interviste, parlato ai seminari, avrei fatto una barca di soldi e sarei stato sempre con modelle bellissime; avrei guardato la città nelle notti di pioggia da una grande vetrata sorseggiando qualcosa di forte, con una creatura bellissima a dormire nel mio letto.

Matematico.

Mi sarei trovato a gesticolare come un epilettico per farmi capire in una lingua che non avrei mai imparato; avrei abitato in una topaia con l'acqua dei rubinetti marrone, mangiando spaghetti scotti; sarei finito sul lastrico per le intercontinentali che sicuramente avrei fatto a mia madre tutte le volte in cui avrei avuto la febbre a trentasei e otto e avrei guardato dei delinquenti rubare la mia auto in una notte di pioggia sorseggiando la Cola sgasata del McDonald's, con la figlia racchia di un bulletto italoamericano a dormire nel mio letto. Che di sicuro non sarebbe stato mio ma dell'italoamericano.

No, io non rischio. Seguo il binario.

Infatti lo seguii: tornai a pieni ritmi sui libri, testa a posto, nessun innamoramento 'ché distoglie dallo studio, qualche partita a calcetto, vita mondana consistente in due uscite settimanali con birra annessa e senza fare tardi, autoerotismo spinto.
110 & lode e calcio in culo accademico. Ero giovane e laureato con tutta una vita davanti.

“e allora mi spieghi che hai?”

“in che senso?”

“nel senso che sembri uno cui hanno appena rifilato un due di picche, e so bene che non è di questo
che si tratta perché non tocchi esseri di sesso femminile da una vita.”

“grazie eh!”
Eravamo io e Luca, l'amico di sempre. Bevevamo una birra in un pub parlando del nostro futuro ed io non avevo per niente l'aria di uno che se la sentisse. Lui invece se la sentiva tantissimo. Appena laureato in giurisprudenza, nonno fondatore di uno dei più noti studi legali della città, padre avvocato in quello studio e madre mantenuta. Avrebbe svolto la pratica, superato l'esame di Stato, sarebbe stato avvocato presso lo studio che sapete, avrebbe vinto qualche miliardo facendo tredici e avrebbe moltiplicato il tutto giocando in borsa, poi si sarebbe sposato una specie di dea non troppo sveglia e i suoi figli mi avrebbero vomitato sui piedi qualche anno dopo.
Io vedevo come più rosea aspettativa l'essere investito dalla dea non troppo sveglia alla guida della Ferrari di Luca.

“scusa, siamo qui a bere, ci siamo laureati da poco e tu hai una faccia impossibile!”

“non lo so. Sarà che avevo dei ritmi stabiliti che non ho più, forse sono solo stanco oppure, non so, sempre lo stesso posto, la stessa gente, la stessa birra... prendiamo del vino?”

“a te non piace il vino.”

“Scusi, ci porta una bottiglia di vino rosso? Grazie.”

Primo bicchiere.
“è che mi sento svuotato, Luca.”

“secondo me sei solo stanco. Stai smaltendo tutto lo stress accumulato.”

“no, non è stress. Io mi metto seriamente a pensare al futuro e non è che non lo veda è che... Dio, ma è buono il vino rosso! Dicevo, non è che non lo veda, è che non mi piace quello che vedo.”

“e che vedi?”

“me dietro lo sportello di una banca che nessuno rapinerà mai.”

“senti, la stai ingigantendo. Ti fermi alla prima possibilità, una delle peggiori, e pensi che finisca tutto lì.”

“suggerimenti?”

“non saprei. Però, cavolo, punta in alto, sii ambizioso... lo stockbroker?”

“Non sono Charlie Sheen, e siamo in Italia, il nostro miglior Gordon Gekko si sporca la camicia di sugo e mangia il pollo con le mani.”

Mi è capitato spesso di trovare slancio e ispirazione in un film o un libro. Mi calo nel personaggio, voglio essere quel determinato personaggio e inizio a fare tutti i miei progetti ma poi mi guardo attorno e mi accorgo che l'ambientazione non corrisponde: dove immagino marciapiedi invasi da serpentoni di persone che si muovono in un disordine coordinato trovo vecchietti che tendono agguati ai lavoratori del comune; penso ai taxi gialli e trovo la Fiat Uno bianca; visualizzo un bel locale con tanta gente in piedi e al bancone, mentre l'impianto manda Rosanna dei Toto. Poi mi giro e vedo un bar col flipper e Toto Cutugno alla radio. Passa la voglia, vero?

Secondo bicchiere.

“il broker è un lavoro come gli altri, non serve tirare in ballo Wall Street. Devi essere più concreto, non puoi stare sempre a pensare a quello che vedi al cinema o che leggi in un libro.”

“sì, ma non è che ti abbia citato 'I Goonies', Wall Street è reale.”

“Wall Street è un film.”

“Che palle che sei. Sentiamo, tu cosa vedi nel tuo futuro? E bevi quel vino, non vorrai che finisca la bottiglia da solo?”

“cosa vedo... farò la pratica con mio padre e mi preparerò per l'esame di Stato. Poi, se sarò fortunato, lavorerò nello studio di famiglia. Magari, se mi dice culo, vincerò al totocalcio, mi affiderò a qualche broker per investire parte della vincita e sposerò una bonazza non troppo sveglia, giusto per mantenere un discreto margine di supremazia.”

Ecco. Appunto. Questo era lo sfrenato sogno di Luca.

“devo dire che ti sei sbilanciato parecchio!”

“perché, che c'è che non va?”

“ma cazzo! Si fantastica, cerca di fantasticare! Sai fantasticare?”

“tipo?”

“tipo, da bambino che sognavi di fare?”

“l'avvocato.”

Diosanto.

Terzo bicchiere.
“apriamo un locale!”

“certo... e che tipo di locale?”

“era sarcasmo quello?...”

Sì, lo era.

“... comunque, ho tutto in mente. Non troppo ampio, elegante ma non troppo, tranne due cosette da accompagnare alle cose da bere, non si mangia. Ampio bancone, eventualmente musica dal vivo ma solo eventi di un certo livello e...”

“ah, la tipica cosa all'italiana.”

Sì, era sarcasmo anche quello.

“... infatti lo apriamo in America!”

“addirittura! E... what time is it, my friend?”

“che?”

“Niente, lascia stare.”

“è perfetto, io mi occuperò del lato economico e tu di quello legale!”

“allora siamo a cavallo! Devo solo studiare un ordinamento diverso, di common law, le leggi dello Stato in cui si aprirà il locale, le leggi federali... una cazzata.”

“senti, o bevi ancora o la finiamo qui, 'ché con te sobrio non si riesce a fare un discorso serio.”

“bevo, bevo.”

“Allora, immagina, io e te in America! Potremmo essere qualsiasi persona, potremmo costruire una vita da zero e farla come vogliamo, conosceremmo persone dalla mentalità diversa, più aperta, potremmo vedere dal vivo tutte le cose che ora vediamo solo in televisione. E ci pensi alle ragazze? Già me lo vedo, tu che fai tutto il figo nel nostro locale, coccoli la clientela, offri da bere a quelle carine e te ne porti a casa una diversa ogni sera e... aspetta, è finito il vino.”

“già?”

“eh, tre bicchieri a testa.”

“Eh, ma lo abbiamo tracannato, il vino si sorseggia. Un'altra bottiglia non la reggo.”

“allora ordiniamo alla mescita.”

Quarto bicchiere.
“Luca, ma la cameriera è quella di prima?”

“sì, perché?”

“ed era così carina anche prima?”

“Non so, cioè, è quella di prima. Però... ha le tette più grandi o sbaglio?

“Non lo so, non le guardavo il seno. Dicevo, mi sembra più carina, hai visto che bel sorriso?”

“Non le guardavi il seno?”

“L'ho visto il seno, è che non ero concentrato su quello. Comunque, ci stai o no?”

“ci sto su cosa?”

“il locale in America!”

“magari vediamo di fare qualche soldo qui e poi ne parliamo...”

Ne parlammo ancora davanti al quarto bicchiere, che durò quanto i tre precedenti messi assieme. Certi progetti nascono sui tavoli dei pub, crescono di bicchiere in bicchiere e poi se ne vanno. Bah. 
Quella fu una gran bella serata: scoprii che mi piace il vino rosso; dissi a Luca di volergli bene; dissi la stessa cosa ad un paio di sconosciuti nel locale e lo dissi anche alla cameriera che ricambiò con un sorriso stupendo, poi lo dissi ad altre persone per strada ma non ricordo bene; capii che per smuovere Luca serviva qualcosa di drastico, tipo dare fuoco allo studio di famiglia e capii che di quello che avevo fatto fino ad allora poco me ne importava e che cercavo solo l'occasione per cambiare vita. Non capii che l'occasione arriva raramente e che è molto meglio prendere coraggio e fare qualcosa rischiando. 
Sul letto girava tutto, presi aria sul balcone, pensando all'idea del locale. Di sicuro, il Piano A quella sera venne ferito a morte.

Lo ammetto, pensai anche alla cameriera.

lunedì 12 dicembre 2011

Il Piano C. #2 - Il Piano A pt.2 -





Ci sarebbe molto da dire sul Piano A ma dovrei ancora parlare del Piano B e comunque io sono qui, e voi lì, per il Piano C.

Diosanto.

Ricominciamo.

Vorrei chiudere il discorso sul Piano A e del Piano B magari parlerò dopo, perché è il Piano C che mi sta a cuore.
Meglio, anche se le cose non stanno proprio così. La verità è che il Piano B è imbarazzante poiché è la prova di come io riesca a svaccare tutto quando mi innamoro, e mi innamoro spesso. Veramente, mi innamoravo spesso. Ero uno dall'innamoramento lampo. 
Ora sono sovrappensiero.
L’ho capito quella volta in cui mi trovai a passeggiare con un mio amico per una delle piazze della mia città. Era estate, faceva caldo – devo smetterla di dire cose ovvie – e noi avevamo da poco dato la maturità. Sicuramente conoscete anche voi quel brivido di timore che arriva nel momento in cui si capisce che qualcuno con un borsone pieno di calzini ti ha puntato. Non è fastidio, è ansia da prestazione: il punto è cercare di far capire che non si è interessati a tutto quello che hanno da proporti, senza essere scortesi. Almeno per me è così. Quel giorno però nessuna ansia e nemmeno borsoni pieni di calzini. C’era una pettorina, blu credo, di una qualche associazione fantasma, ed una cartellina. E c’era una ragazza bellissima, di quella bellezza pulita che già ad una cinquantina di metri – punto in cui capii che eravamo il suo bersaglio – iniziai a pensare di rilevare l’associazione fasulla per cui lavorava, strapparle la pettorina di dosso e dirle « vai, sei libera ».
Iniziò a parlare di qualcosa che non ricordo, ma che di certo non avrebbe destato l'attenzione di chiunque avesse occupato, nella scala evolutiva, una posizione un pelo più alta di quella di un idiota. Quello dell'idiota era un traguardo per me irraggiungibile. Solo in questo modo potrei descrivere uno che riceve a braccia aperte e col sorriso sulle labbra una delle fregature più elementari mai concepite. Firmare, dico, f-i-r-m-a-r-e, un foglio con cui ci si impegna a comprare un corso di inglese per oltre tre milioni delle vecchie lire ed accorgersene solo mezz'ora dopo. Traditrice, dopo tutto l'amore che le avevo dato in quella piazza assolata. Però andò bene, Dio benedica il diritto di recesso.
Le cose non andarono diversamente col passare degli anni.

Era il turno di Marta. Me ne innamorai subito, mi bastò metà del suo volto.
L'altra metà era occupata da una grande Polaroid, una macchina fotografica veramente ingombrante, non solo nel senso fisico del termine. La portava ovunque quella cosa, ma in fondo mi piaceva vederla avvolta nelle sue dita affusolate. Mi piaceva guardare lo smalto delle sue unghie mentre teneva in mano quella macchina sputa-foto. Mi piaceva il suo modo di piegarsi, inarcarsi per trovare l'inquadratura giusta. Era fotoyoga degno del campione mondiale di tetris. Col tempo compresi che non ne capiva un beneamato di fotografia e che era tutta scena, ma a me piaceva.
Marta e la sua Polaroid che le copriva il volto.

“ti spiace se ti scatto una foto?”

“f-figurati”

Ci conoscemmo così e sì, mi dispiaceva. È che non mi piacciono le foto, sono diaboliche. Comunque la metta, mi fanno girare le balle. Sembro felice? Perché ero felice? L'ho dimenticato. Forse non era tutta questa gran cosa se l'ho dimenticato. Poi mi accorgo che è un pensiero stupido e che ero felice e basta. Magari non sento ora quella felicità, ma so che lo ero perché lo ricordo e la foto mi aiuta nel ricordare. Quindi divento malinconico e mi chiedo perché cazzo ho delle foto tra le mani.
Avevo un sorriso di circostanza? Quante foto ho con sorrisi di circostanza? Provo a contarle ma so che sono tante e mi chiedo il perché di tutti questi sorrisi di circostanza. Mi sono serviti? Sono serviti a qualcuno? E soprattutto, perché perdo tempo a chiedermi queste cose con delle foto tra le mani?
Poi ci sono quelle rare foto dalle quali si evince che ero incazzato nero. Ricordo benissimo perché lo ero e nel ricordare mi incazzo di nuovo... e mi chiedo perché mi debba incazzare con delle foto tra le mani.
Marta questo non lo sapeva, e non lo sapevo nemmeno io. Non sapevo niente, nemmeno della mia abilità a svaccare tutto quando mi innamoro. Se lo avessi saputo non mi sarei iscritto ad un corso di fotografia tralasciando, anzi, quasi mollando l'università solo per poter condividere la stessa passione. 
Già, perché io mica svacco la storia d'amore, io svacco me stesso.
Marta questo non lo sapeva e mi lasciò.

“non hai più personalità, ti preferivo quando eri su quei libri che parlano di mercati e quella roba lì”

“p-prego?”

“Ma sì, eravamo una coppia stupenda, tu il figlio del tuo tempo ed io l'artista libera dagli schemi”

“Ma veramente...”

“Sì, hai ragione tu, avrei dovuto farti capire che a me piacevi così come eri. Come...”

“... come quella volta in cui mi hai dato dello sporco capitalista davanti ai tuoi amici aggiungendo che non lo sapevi come facevi a stare con uno così? Solo perché sono, ero, non lo so più nemmeno io, iscritto ad economia?”

“Ecco, te la sei tenuta per le grandi occasioni vero? Non vedevi l'ora di rinfacciarmela, vero? Guarda, mi fai schifo!”
Siamo stati insieme tre anni, io lei e la sua polaroid del cazzo.


Mi ritorna la mente a quella ragazza dalla pettorina forse blu, quella bellissima dalla bellezza pulita. Ecco, lì avrei dovuto scattare una foto. Perché a pensarci bene aveva proprio una faccia da troia.