giovedì 15 marzo 2012

Dillo con una lettera: "Superenalotto"





Ciao Carlo,
ho preparato il tuo piatto preferito, è nel forno, devi solo accenderlo a 180° per mezz’ora. Sul ripiano della cucina c’è il tuo vino rosso preferito e nel frigo i pasticcini.
Ah, ho vinto al Superenalotto. Lo so, è fantastico!
Quindi salutami i tuoi amici, quella strega di tua madre, i panni sporchi del calcetto del cazzo e quella troia che vorresti scoparti ma che non te la dà, io mi sfanculo lontano.
Buon appetito amore.
Tua B.

martedì 28 febbraio 2012

Piccola pausa.



Ci sono eh.

Niente, solo per dire che spero di tornare a scrivere e postare al più presto, periodo intenso di lavoro e studio, ma son vivo.

Avessi qualche raccontino già scritto e messo da parte lo posterei, ma niente...

lunedì 23 gennaio 2012

La mia vita in estrema sintesi.



"Ma avere talento non è mai abbastanza per renderci felici, giusto? Cioè, lo dovrebbe essere perché il talento per qualcosa è un dono, e dovresti ringraziare Dio che ce l'hai... ma io invece no. A me faceva solo girare i coglioni, perché non mi procurava soldi e non mi faceva finire sulla copertina di Rolling Stone." 



Tratto da Non buttiamoci giù, di Nick Hornby.

domenica 8 gennaio 2012

Ora



Matteo è la frase disarmante che arriva tardi, quando il barista chiude baracca e il bullo ti ha fatto capire da un pezzo che non eri tu a comandare.
Fa niente, le frasi buone sono buone sempre, come le lasagne riscaldate il giorno dopo.
Lui vive per il dopo. “Dopo” è una freccia che tende a più infinito, senza conoscere parabole: spicca il volo e atterra a tradimento… dopo, appunto.
Sandra invece è una risposta puntuale, piena di avverbi e aggettivi che il bullo capisce dopo, molto dopo.
Lei vive per l’abbondanza. Abbonda di parole e silenzi che mescola con mani da vecchio campione comunale di briscola.

- tesoro, quando vieni a letto? -
è lei, abbondante di curve cieche, di quelle da aggredire scalando la marcia, percorrere in derapata e poi di nuovo su, in allungo fino al traguardo.

- dopo. Ho del lavoro da finire. -
lui, col freno a mano tirato, ma senza il doppio senso.
Si incontrano a metà strada, il mattino seguente. Matteo vede Sandra entrare nel bagno così come lei lo aspettava. Vede la curva dell’interno coscia fare capolino dall’elastico dell’autoreggente e si sente in colpa. Lui ha la tastiera del pc tatuata sullo zigomo e Sandra non sa se abbondare in silenzi o parole: lascia la porta del bagno socchiusa.
La via semplice finisce con un caffè in silenzio e un Maalox, quella da trapezista senza rete passa attraverso lo spiraglio della porta del bagno.
Lei guarda nello specchio il posto ideale per la prossima ruga. Ha ottime carte in mano, da “all in”. Matteo tenta il bluff da Bar dello Sport, di quelli che ti fanno vincere una mezza Peroni calda: dietro di lei, mani sui fianchi, con le labbra centra il confine incerto tra collo e spalle.
Sandra inarca la schiena mescolando parole e silenzi:

- dopo dobbiamo parlare -

- sì. Dopo. - 

venerdì 30 dicembre 2011

Il Piano C. #3 - Il Piano A pt.3 -


Posto con tutti i migliori auguri per il prossimo anno, dopotutto, quanto segue parla di progetti!



Finita la storia con Marta inscatolai tutto. Presi le sue foto, le nostre foto, qualche cianfrusaglia accumulata in tre anni, la mia macchina fotografica e riposi tutto nel garage di Bonnie & Clyde. 
Il Piano B durò poco perché ne ero infatuato, non innamorato. A dirla tutta pensai seriamente di poter diventare un artista e mi ci vedevo pure. Mi immaginavo in un loft a New York con le pareti piene dei miei lavori e di riviste che avevano una mia foto in copertina. Avrei partecipato ad incontri con persone famose e sarei stato uno di loro; avrei rilasciato interviste, parlato ai seminari, avrei fatto una barca di soldi e sarei stato sempre con modelle bellissime; avrei guardato la città nelle notti di pioggia da una grande vetrata sorseggiando qualcosa di forte, con una creatura bellissima a dormire nel mio letto.

Matematico.

Mi sarei trovato a gesticolare come un epilettico per farmi capire in una lingua che non avrei mai imparato; avrei abitato in una topaia con l'acqua dei rubinetti marrone, mangiando spaghetti scotti; sarei finito sul lastrico per le intercontinentali che sicuramente avrei fatto a mia madre tutte le volte in cui avrei avuto la febbre a trentasei e otto e avrei guardato dei delinquenti rubare la mia auto in una notte di pioggia sorseggiando la Cola sgasata del McDonald's, con la figlia racchia di un bulletto italoamericano a dormire nel mio letto. Che di sicuro non sarebbe stato mio ma dell'italoamericano.

No, io non rischio. Seguo il binario.

Infatti lo seguii: tornai a pieni ritmi sui libri, testa a posto, nessun innamoramento 'ché distoglie dallo studio, qualche partita a calcetto, vita mondana consistente in due uscite settimanali con birra annessa e senza fare tardi, autoerotismo spinto.
110 & lode e calcio in culo accademico. Ero giovane e laureato con tutta una vita davanti.

“e allora mi spieghi che hai?”

“in che senso?”

“nel senso che sembri uno cui hanno appena rifilato un due di picche, e so bene che non è di questo
che si tratta perché non tocchi esseri di sesso femminile da una vita.”

“grazie eh!”
Eravamo io e Luca, l'amico di sempre. Bevevamo una birra in un pub parlando del nostro futuro ed io non avevo per niente l'aria di uno che se la sentisse. Lui invece se la sentiva tantissimo. Appena laureato in giurisprudenza, nonno fondatore di uno dei più noti studi legali della città, padre avvocato in quello studio e madre mantenuta. Avrebbe svolto la pratica, superato l'esame di Stato, sarebbe stato avvocato presso lo studio che sapete, avrebbe vinto qualche miliardo facendo tredici e avrebbe moltiplicato il tutto giocando in borsa, poi si sarebbe sposato una specie di dea non troppo sveglia e i suoi figli mi avrebbero vomitato sui piedi qualche anno dopo.
Io vedevo come più rosea aspettativa l'essere investito dalla dea non troppo sveglia alla guida della Ferrari di Luca.

“scusa, siamo qui a bere, ci siamo laureati da poco e tu hai una faccia impossibile!”

“non lo so. Sarà che avevo dei ritmi stabiliti che non ho più, forse sono solo stanco oppure, non so, sempre lo stesso posto, la stessa gente, la stessa birra... prendiamo del vino?”

“a te non piace il vino.”

“Scusi, ci porta una bottiglia di vino rosso? Grazie.”

Primo bicchiere.
“è che mi sento svuotato, Luca.”

“secondo me sei solo stanco. Stai smaltendo tutto lo stress accumulato.”

“no, non è stress. Io mi metto seriamente a pensare al futuro e non è che non lo veda è che... Dio, ma è buono il vino rosso! Dicevo, non è che non lo veda, è che non mi piace quello che vedo.”

“e che vedi?”

“me dietro lo sportello di una banca che nessuno rapinerà mai.”

“senti, la stai ingigantendo. Ti fermi alla prima possibilità, una delle peggiori, e pensi che finisca tutto lì.”

“suggerimenti?”

“non saprei. Però, cavolo, punta in alto, sii ambizioso... lo stockbroker?”

“Non sono Charlie Sheen, e siamo in Italia, il nostro miglior Gordon Gekko si sporca la camicia di sugo e mangia il pollo con le mani.”

Mi è capitato spesso di trovare slancio e ispirazione in un film o un libro. Mi calo nel personaggio, voglio essere quel determinato personaggio e inizio a fare tutti i miei progetti ma poi mi guardo attorno e mi accorgo che l'ambientazione non corrisponde: dove immagino marciapiedi invasi da serpentoni di persone che si muovono in un disordine coordinato trovo vecchietti che tendono agguati ai lavoratori del comune; penso ai taxi gialli e trovo la Fiat Uno bianca; visualizzo un bel locale con tanta gente in piedi e al bancone, mentre l'impianto manda Rosanna dei Toto. Poi mi giro e vedo un bar col flipper e Toto Cutugno alla radio. Passa la voglia, vero?

Secondo bicchiere.

“il broker è un lavoro come gli altri, non serve tirare in ballo Wall Street. Devi essere più concreto, non puoi stare sempre a pensare a quello che vedi al cinema o che leggi in un libro.”

“sì, ma non è che ti abbia citato 'I Goonies', Wall Street è reale.”

“Wall Street è un film.”

“Che palle che sei. Sentiamo, tu cosa vedi nel tuo futuro? E bevi quel vino, non vorrai che finisca la bottiglia da solo?”

“cosa vedo... farò la pratica con mio padre e mi preparerò per l'esame di Stato. Poi, se sarò fortunato, lavorerò nello studio di famiglia. Magari, se mi dice culo, vincerò al totocalcio, mi affiderò a qualche broker per investire parte della vincita e sposerò una bonazza non troppo sveglia, giusto per mantenere un discreto margine di supremazia.”

Ecco. Appunto. Questo era lo sfrenato sogno di Luca.

“devo dire che ti sei sbilanciato parecchio!”

“perché, che c'è che non va?”

“ma cazzo! Si fantastica, cerca di fantasticare! Sai fantasticare?”

“tipo?”

“tipo, da bambino che sognavi di fare?”

“l'avvocato.”

Diosanto.

Terzo bicchiere.
“apriamo un locale!”

“certo... e che tipo di locale?”

“era sarcasmo quello?...”

Sì, lo era.

“... comunque, ho tutto in mente. Non troppo ampio, elegante ma non troppo, tranne due cosette da accompagnare alle cose da bere, non si mangia. Ampio bancone, eventualmente musica dal vivo ma solo eventi di un certo livello e...”

“ah, la tipica cosa all'italiana.”

Sì, era sarcasmo anche quello.

“... infatti lo apriamo in America!”

“addirittura! E... what time is it, my friend?”

“che?”

“Niente, lascia stare.”

“è perfetto, io mi occuperò del lato economico e tu di quello legale!”

“allora siamo a cavallo! Devo solo studiare un ordinamento diverso, di common law, le leggi dello Stato in cui si aprirà il locale, le leggi federali... una cazzata.”

“senti, o bevi ancora o la finiamo qui, 'ché con te sobrio non si riesce a fare un discorso serio.”

“bevo, bevo.”

“Allora, immagina, io e te in America! Potremmo essere qualsiasi persona, potremmo costruire una vita da zero e farla come vogliamo, conosceremmo persone dalla mentalità diversa, più aperta, potremmo vedere dal vivo tutte le cose che ora vediamo solo in televisione. E ci pensi alle ragazze? Già me lo vedo, tu che fai tutto il figo nel nostro locale, coccoli la clientela, offri da bere a quelle carine e te ne porti a casa una diversa ogni sera e... aspetta, è finito il vino.”

“già?”

“eh, tre bicchieri a testa.”

“Eh, ma lo abbiamo tracannato, il vino si sorseggia. Un'altra bottiglia non la reggo.”

“allora ordiniamo alla mescita.”

Quarto bicchiere.
“Luca, ma la cameriera è quella di prima?”

“sì, perché?”

“ed era così carina anche prima?”

“Non so, cioè, è quella di prima. Però... ha le tette più grandi o sbaglio?

“Non lo so, non le guardavo il seno. Dicevo, mi sembra più carina, hai visto che bel sorriso?”

“Non le guardavi il seno?”

“L'ho visto il seno, è che non ero concentrato su quello. Comunque, ci stai o no?”

“ci sto su cosa?”

“il locale in America!”

“magari vediamo di fare qualche soldo qui e poi ne parliamo...”

Ne parlammo ancora davanti al quarto bicchiere, che durò quanto i tre precedenti messi assieme. Certi progetti nascono sui tavoli dei pub, crescono di bicchiere in bicchiere e poi se ne vanno. Bah. 
Quella fu una gran bella serata: scoprii che mi piace il vino rosso; dissi a Luca di volergli bene; dissi la stessa cosa ad un paio di sconosciuti nel locale e lo dissi anche alla cameriera che ricambiò con un sorriso stupendo, poi lo dissi ad altre persone per strada ma non ricordo bene; capii che per smuovere Luca serviva qualcosa di drastico, tipo dare fuoco allo studio di famiglia e capii che di quello che avevo fatto fino ad allora poco me ne importava e che cercavo solo l'occasione per cambiare vita. Non capii che l'occasione arriva raramente e che è molto meglio prendere coraggio e fare qualcosa rischiando. 
Sul letto girava tutto, presi aria sul balcone, pensando all'idea del locale. Di sicuro, il Piano A quella sera venne ferito a morte.

Lo ammetto, pensai anche alla cameriera.