sabato 26 maggio 2007

Don't Stand So Close To Me.




Mattinata calda, umida.
Volto madido e pensieri sporchi. Basta questo per descrivere lo stato del professor H.H.
Un diavolo povero, con tanti sogni nella cartucciera che si è portato tempo fa all’esame di maturità e un naso capace di sentire l’aroma del caffé al mattino, quello preparato in Brasile.
Un omino piccolo piccolo, con tanta voglia di infilare le mani nella marmellata.
Ma sì, va bene così.
Platone vola comodo su un aeroplanino di carta, facendo lo slalom tra le orecchie serrate degli studenti.
Prova e prova a bussare contro la porta delle loro percezioni parlando di miti e caverne, ma niente…viene inesorabilmente scambiato per un venditore di enciclopedie.
Così, per sentirsi a casa, torna come un bravo segugio dal caro professore.
Ma sì, va bene così.
H.H. scocca parole come dardi, ma la sua più intima attenzione è focalizzata su di lei:
un bocciolo di rosa, piccola e fresca, l’incarnazione di una ninfa, ma molto più maiala…
Lei ha anche quello sguardo da velina abbandonata ed un poster di Brad Pitt in camera con scritto:
“quanto sei bono!”
Porta unghie cubistiche da sciampista sotto lsd, ma non è il caso di andare per il sottile.
H.H non vuole andare per il sottile.
Ma sì, va bene così.
Uno sguardo, nemmeno tanto veloce, a quella piccola, tonda, bagnata goccia di sudore che striscia languida dal collo per infilarsi tra i due seni di lei. Un tuffo nel paradiso.
In un attimo il professore chiude nello sgabuzzino della mente quell’ingombrante donna di mezza età con la quale, Dio solo sa perché, si è trovato a condividere un “sì” sull’altare.
Il sole, fuori, è un apprendista fotografo che mette tutto fuori fuoco, poco male se si è un playboy per nulla ricercato, capace di scambiare per una dea una balenottera obesa.
Ma a H.H., quel quadro ipnotico al di là della finestra aiuta poco.
Ma sì, va bene così.
La pallottola di carta e sputo si slancia ardimentosa dalla canna di una bic.
Attraversa lo spazio e il tempo di quell’aula liquida sfiorando percezioni instabili ed equilibri abbastanza precari.
Dal palazzo di fronte una finestra regala note famose: Don’t stand so close to me.

Young teacher, the subject
Of schoolgirl fantasy
She wants him so badly
Knows what she wants to be
Inside her there's longing
This girl's an open page
Book marking - she's so close now
This girl is half his age …

H.H. conosce il testo, lo ha ascoltato molte volte dentro un’auto che urlava sesso acrobatico in derapata alla Rossi.
Conosce la Tentazione, la Frustrazione.
Qualcosa dentro di lui vorrebbe mettersi delle ali di cera e spiccare il volo lontano da quel guscio di
pudicizia e contegno.
Tra tanti pensieri colpevoli, la campanella ha urlato.
Ora l’atrio si riempie di vita e sorrisi, solo H.H. sembra avere il grigio nei pensieri.
Ma sì, va bene così.
La velina di serie b accelera il passo, ora è vicina a quel professore dai pensieri sporchi…
“don’t stand so close to me…”
Cupido fa il giocoliere sul filo che unisce i loro sguardi…
Sono vicinissimi…
“please, don’t stand so close to me…”
“prof, me lo da un passaggio?”
H.H. vorrebbe bloccare il tempo unendo la punta delle dita, afferrarla con gesto plastico alla Fred Buscagliene e baciarla con labbra che sanno di avventura.
Ma la donnona tutta ciccia e brufoli attende meschina dietro l’angolo, sorniona come solo la morte dei sensi può essere.
“certo, non ti dispiace se c’è mia moglie…?”
“certo che no, ma, aspetti, c’è una mia amica…vado con lei, sarà per la prossima volta…
bye bye prof…”
Ma sì, va bene così.
La sera, H.H. rivolgerà uno sguardo dolce a quella compagna di vita dal girovita quasi aerostatico.
Non è male, dopotutto.
La rosa non è più un bocciolo, ma conosce i trucchi della vita.
Quella sera H.H. farà l’amore, e magicamente sentirà le sue mani nella marmellata, come non le sentiva da tempo, e rivolgerà ancora uno sguardo di zucchero al tricheco al suo fianco, pensando:
“ma sì, va bene così”.

sabato 19 maggio 2007

Lo sport nazionale?





Ugo ha trent’anni.
Scoprì lo sport nazionale quando ne aveva quindici, l’età dei brufolazzi, tapparella giù e poltiglia, più ascella purificata…
Da allora ne sono accadute di cose.
Il primo bacio, dato tardi, troppo.
Sapeva di fragola, ma senza il dolce, solo i grumi tra i denti.
La prima canna,
Dopo la quale decise di schierarsi nella nazionale tossicomani e sfidare quella degli orfanelli,
per devolvere l’incasso in beneficenza ai calciatori che non riescono a trombarsi le veline.
La prima vacanza a Londra.
Passata a vedere i canali italiani con la parabola, e a mangiare spaghetti.
Quel viaggio lo fece sentire un po’ San Paolo sulla via di Damasco.
Tornò in patria con l’aria di chi aveva appena scoperto che il pisello non serve solo per espletare bisogni fisiologici.
Decise di dedicarsi unicamente allo sport nazionale, bastava solo organizzarsi.
Marlboro da 20, ed un pacchetto da 10 nella fondina dietro la schiena.
Una tracolla al plutonio con dentro Il Giornale, Il Corriere, Repubblica, ma senza l’inserto dei fumetti che sennò si distingue troppo e, per carità, niente Manifesto che non lo capisce, e poi il Pastore Tedesco si arrabbia e ci scomunica tutti.
Serve un tavolo, una sedia ed un bar.
Uno di quei posti dove si è fumato per decenni e che con la legge 16-01-2003 n3 puoi leccare la carta da parati per assaporare un po’ di tabacco senza dover uscire.
Un posto dove l’età media è 250/3 e il sorriso più giovane ha tre denti, ma non da latte.
Manca l’anima del gioco.
Una tanica di birra fredda da bere con la flebo.
Poco malto, molta anidride, così da poter ruttare in triplofonia da vecchio maestro tibetano, e lanciare messaggi criptati da disperdere nel cosmo…e chissà che qualcuno non risponda.
Ugo è felice così, catrame che asfalta l’autostrada del cuore, tanta carta che non comprende bene, ma cazzo se sa tutto, un vecchio sdentato che sputa affreschi di Michelangelo e birra che sa di quell’amore che ora non ha, ma prima o poi suonerà alla sua porta, bella come una lacrima di gioia.
E lui le dirà “ciao”, magari in rutto plastico.
Lei sorriderà, sparando sesso come pallottole in una festa tra mafiosi.
Ugo, non coglierà al volo, chiuderà la porta e si ritroverà comodo sulla sua sedia, davanti al bar.
Ma sì, va bene così, campione di sport nazionale ed una convinzione nel cuore:
“Tutti nella vita dobbiamo credere a qualcosa. Io credo che mi farò un’altra birra.”
Burp!

venerdì 11 maggio 2007

Zed soloandata.




La tangenziale di sera, quando i lampioni si accendono di una luce arancione, ed il cielo sopra la testa è nero, ma lo puoi trovare ancora chiaro dietro i palazzi, ha dei colori che ti scavano dentro e prendono qualsiasi cosa di vivo riescano a trovare, e per un attimo ti senti vuoto.
Uno dei tanti pensieri che impegnavano Herbert Bunker, mentre attendeva Scout, la sua guida verso un mondo migliore.
Herbert è un uomo, un nessuno qualunque, per molti.
Una persona che guarda il mondo da dei fondi di bottiglia, troppo pesanti per camminare a testa alta, e forse troppo efficaci a mostrare le cose così come sono.
Un uomo con un chilo in più di codardia.
Lui lo sapeva bene, se lo sentiva tutto sopra le spalle quel chilo.
Mentre aspettava al tavolo di un sudicio locale di periferia decise che l’occasione meritava una bevuta da uomini: whisky.
Sfortunatamente, appena dopo il primo sorso si rese conto che, per uno come lui, un succo di frutta alla pera sarebbe stato più appropriato.
L’attesa è lunga.
Si chiedeva se fosse la scelta giusta mollare tutto e scappare in un mondo nuovo, lontano da paure, indifferenza, angherie, soprusi.
Pensò a quella moglie taglia 58 che russava e sbavava nel sonno, ai suoi rimproveri, i suoi insulti.
Pensava ad un passato amaro.
Un presente opprimente.
Un futuro che ha smesso di fare belle promesse.
Le lacrime, a volte, te le trovi lungo le guance, e non sai come abbiano fatto ad uscire.
Ma ne sei contento, e vorresti che quel piangere ti liberasse di tutto il peso che ti senti in petto.
A volte succede.
Ma a volte ti ritrovi davanti ad uno specchio, gli occhi rossi e gonfi, e quello che vedi non ti piace affatto.
Quella sera Herbert non pianse, prese la sua giacca, guardò per l’ultima volta quella balenottera obesa che dormiva nel suo letto e si diresse verso un probabile domani.
Zed è la meta, un posto di fantasia, del quale solo Scout ha la chiave.
Cosa nasconderà quel posto?
L’Eden?
Il Nirvana?
L’inferno?
Mah, ad Herbert l’unica cosa che veramente importava era scappare via, anche se non se ne rendeva conto.
Fatto sta che Scout arrivò.
Lo inquadrò subito, e altrettanto in fretta notò quel chilo in più sulle spalle.
Non ce l’avrebbe mai fatta a superare le guardie che presidiavano l’ingresso di Zed.
Voleva dissuadere quel piccolo uomo da una simile impresa, ma c’era qualcosa nei suoi occhi.
Quell’innocenza che solo i bambini hanno, quello stupore, quella bontà che ti prende alla gola e non ti lascia facilmente.
Vada per Zed.
Scout lo vide allontanarsi di corsa; il primo ha sempre più possibilità di scampare ai cecchini.
Quasi sempre.
Le pallottole trafissero il corpicino esile di Herbert e quei fondi di bottiglia troppo pesanti lo spinsero al suolo, quasi senza far rumore.
Lo sguardo triste della guida rimase a lungo nel vuoto, come un fantasma che non vuole abbandonare il suo corpo.
Scout si chiese a lungo se fece la cosa giusta quella sera, incassare i soldi e portare un uomo alla morte certa.
Già, ma pensò che forse era meglio portare un uomo alla morte, piuttosto che uccidere un sogno.

giovedì 3 maggio 2007

Attacco di Panico.





È accaduto troppo in fretta.
Penserete che stia esagerando, ma non è così.
Se chiudo gli occhi posso vedere benissimo il mio piccolo cuore, credo sia grande come un pugno, o almeno così dicono.
Lo vedo pompare all’impazzata in quell’anfratto buio ed umido che è il mio torace.
Tu-tum tu-tum tu-tum tu-tum, è veloce, troppo.
Si allarga e si contrae fregandosene dei b.p.m., pensa che resisterà, ma io voglio solo che smetta.
Sono intrappolato su questa sedia, è comoda sì, ma è il luogo dove si consumerà la mia morte, lo so.
Dio mio, qualcuno mi aiuti, non voglio essere qui.
Stringo forte i braccioli con le mani che sanno di umido salato, vorrei fare un bel respiro, uno di quelli lunghi, profondi, che portano ossigeno fino alla cellula più stanca e nascosta, ma non è possibile, è tutto inutile.
Tra poco esploderò in un pianto isterico, sento già le lacrime spingere forte mentre ruoto i bulbi oculari all’impazzata cercando di registrare tutto ciò che mi circonda.
Il bastardo ha messo uno specchio di fronte, lurido figlio di puttana.
Vuole che non perda nemmeno un fotogramma di quello che accadrà.
Mi guardo, impotente, immobile, sul punto di scoppiare, e capisco che è solo questione di attimi.
Sgrano gli occhi fino a farli fuoriuscire, il terrore mi dipinge mille gocce di sudore sul volto ed il cuore si ferma, anche se per poco, alla vista della lama affilata, lucente, pura e quasi innocente a vederla.
Lui sorride, porco schifoso.
Si avvicina, mi accarezza il capo dicendo di rilassarmi, di chiudere gli occhi.
Dio, Dio, Dio…aiutatemi, vi prego!
So cosa sta per accadere: presto afferrerà i miei capelli e chinerà all’indietro il mio capo.
Non sarà una cosa veloce, ma lenta e dolorosa, molto.
Immagino perfettamente la lama che entrerà delicata come una lingua in un bacio carico di passione e tenerezza.
Piano, lentamente, si farà strada lungo la mia gola.
Con l’avanzare lo squarcio si allargherà come un secondo sorriso, ma questo sarà tetro, e avrà il colore rosso scuro, lucente, denso.
Una cascata di sangue purpureo colerà giù per il collo, fino al petto, mi riscalderà, mi avvolgerà negli ultimi istanti della mia giovane vita.
Tutto finirà quando ormai la mia testa sembrerà staccarsi dal collo e il mio sguardo sarà rivolto al cielo, inespressivo come quello di uno squalo, e carico di terrore e lacrime e di perché.
Sento la lama carezzarmi il volto, sadico pezzo di merda.
Avanti, finiamola qui, dacci un taglio…
“dacci un taglio”…ah, ah, mi vengono anche in punto di morte le battute.
Va bene, basta, il terrore mi ha rapito e trasformato in un pilastro di cemento, rigido come il morto che presto sarò…basta, muoio in silenzio.
“Et voilà, ecco fatto, signore…come nuovo. Fanno dieci euro, per lei un prezzo di favore!”.
“Già fatto? Complimenti, ottimo lavoro. Ecco a lei, e questa è una piccola mancia per il lavoro ben fatto.”
“Grazie signore, torni presto”.
Beh, lo ammetto, ho esagerato…però, la prossima volta, la barba me la faccio da solo.