sabato 29 settembre 2007

The Answer




Premessa:
Questa è la prima pagina di un racconto che ne prevede una ventina, racconto che non ho mai concluso!
Parla di un killer professionista, il migliore sulla piazza che, tornando da un lavoretto, si scontra in un frontale con l'auto di un chirurgo. Il racconto si snoda sui due che attendono l'arrivo dell'ambulanza (sono lontani un'oretta da New York) e, parlando, mettono a confronto le loro visioni della vita, da un lato uno che per vivere uccide la gente, dall'altro uno che le vite le salva.
Dicevo che non è ancora finito, e non posterò le altre parti ma, se vi piace, potrei trovare lo spunto per terminarlo!!!


Cristo se pioveva. Era una sera di fine novembre, il buio aveva abbracciato la nostra parte di emisfero da almeno un paio d’ore ed io scivolavo morbido come burro su una padella rovente con la mia Mercedes per una strada di campagna, ad un’oretta da New York. Ero solo al volante e sola era la mia auto su quella lingua di asfalto che si torceva e si riallungava sotto un consistente velo bagnato. Ero riuscito anche a sorridere, quando Radio ’80 mi propose le note di Africa, dei Toto, mentre fuori il freddo succhiava via le energie anche ai sassi. Non so perché ma le centinaia di gocce che si suicidavano nervosamente sul mio parabrezza mi portarono con la mente a quella sera di tanti anni fa, quando io e mio padre tornavamo in macchina dal Bowling Olimpia ed io, un frugoletto di otto anni, mi spaventavo alla vista dei fulmini che si abbattevano nell’area circostante. Mio padre, un omaccione robusto e possente, mi accarezzò i capelli con una mano di piuma e calli. Capii da quel gesto che per quanto il fulmine potesse cadere vicino, lui sarebbe stato lì, a proteggermi. La mia mente continuava a viaggiare guidata da quel tip tap acquatico. Dal ricordo di mio padre ero passato a quell’inverno del 1987 quando, stringendo Alice sotto le coperte, mentre fuori il temporale affogava ogni centimetro del college, e la sua pelle calda si spalmava liquida sulla mia, pensavo che fossi un uomo, non perché giacevo con una donna, ma perché grazie a lei ero riuscito a piangere.
Cazzo se continuava a piovere. Quaranta minuti, un’ora forse, e sarei giunto alla grande mela. La radio continuava a coccolarmi con la musica della mia giovinezza, ma ormai la pioggia aveva rotto la diga della mia memoria ed i miei ricordi, ora, sguazzavano liberi. Mi tornò alla mente Bobby Maist, un amico del corso di kick boxing. Pensavo a quella sera in cui riuscimmo a pestare in due un gruppo di sei teppistelli che volevano derubarci…ancora mi viene da ridere se ci penso. Vederli scappare sotto la pioggia e raccogliersi l’un l’altro mentre cadevano mi fece sentire il più forte del mondo.
Ma non è tempo per raccontarvi queste storie, ora sono solo in questa macchina da novantamila dollari. Mio padre è morto; Alice, sono vent’anni ormai che non carezzo il suo volto e Bobby, alla fine, ha pestato il teppistello sbagliato nel posto sbagliato. Rimango solo io, Jack Vain, detto “the answer”. Ma vi auguro di non conoscermi con questo nome. Per vivere faccio il killer a pagamento, e sono il migliore, il numero uno. Il migliore. “the answer”, voi ci mettete i dubbi, io sono la risposta.

mercoledì 26 settembre 2007

Pensieri in Volo




Capita che stando fermi ad un semaforo, ascoltando Phil Collins, ti vengano in mente certe storie.


Vi è mai capitato di guardare gente felice e sentirvi tremendamente inutili, fuori dal mondo, lontani, distanti?
Era proprio come si sentiva Luca nel guardare i bambini che giocavano, mentre lui consumava la sua esistenza su di una panchina di un parco di città.
A dirla tutta non erano solo i bambini, ma le coppiette che si sbaciucchiavano, la gente che si allenava correndo meticolosamente di qua e di là, i vecchietti che sorridenti davano da mangiare ai piccioni.
-ma si può essere così tremendamente sereni e disillusi?-
Già, era proprio questo che si chiedeva.
Dire che aveva un pensiero fisso non sarebbe esatto, anzi, aveva uno stormo volante di pensieri, cose intime, delicate, profonde ferite del suo animo mal riemarginate.
Mentre si guardava la punta delle dita incrociate, pensava a quella scelta che non aveva mai avuto il coraggio di fare, scelta che gli costò una vita di rospi difficili da mandare giù.
Scorrendo in basso, verso le ginocchia, gli venne in mente quella risposta sferzante che non era mai riuscito a dare nella sua vita a tutti i gradassi che si erano presi gioco di lui.
Lo sguardo sprofondava come il suo umore, in caduta libera.
Fermandosi ad osservare le scarpe di marca, ben tenute, ma che di passi ne avevano da raccontare, pensò infine a quella ragazza, a quando si trovarono faccia a faccia, occhi negli occhi, e lei gli chiese a cosa lui stesse pensando.
Luca rispose che non pensava a nulla ma in realtà pensava:
-non lasciarmi, ti prego, non abbandonarmi, ho bisogno di te.-
Lei lo lasciò poco dopo. Così va la vita.
Mentre tratteneva in petto la tristezza, una ragazza si avvicinò, e senza chiedere nulla si appoggiò al suo fianco.
Luca la guardava senza stupore, rassegnato all’altrui esistenza.
Lei ruppe il silenzio:
-sai, vivere non è poi così male…vivila, la vita.-
Poi lei gli prese le mani e gli diede un bacio candido sulle labbra, e se ne andò.
Luca non aveva la forza di fermarla, si sentiva troppo triste ma, vedendo che nelle sue mani era rimasto un bigliettino col numero di telefono di lei, trovò la forza per sorridere, e per sperare.
Improvvisamente, quei bambini che giocavano, le coppiette e tutti gli altri, non gli sembravano così male, e si sentì uno di loro.
Poi si alzò, mescolandosi tra le varie vite, ma ora, finalmente, guardava in alto.

martedì 25 settembre 2007

il relativismo della Verità (Terza ed ultima parte)




Premessa: la treza parte è quella che mi piace di meno, ma l'avevo scritta e non mi andava di rifarla! : )




Il primo passo è fatto, ormai: mi sono palesemente mostrato ostile ad un uomo di chiesa, cosa che potrebbe farmi meritare il pubblico rogo. Ma non importa, ciò che mi preme è che io mantenga la calma per arrivare fino in fondo, che io riesca ad essere lucido, senza farmi sovvertire dalle emozioni.
Padre Lorenzo ha abbandonato il suo ghigno di superiorità, avverte il pericolo nell’aria e la cosa non gli piace.
È evidentemente preoccupato, il docile mercante, che fino a pochi attimi prima aveva in pugno per via di sua figlia, si è rivelato un ben astuto rivale, e questo lo irrita tremendamente, al punto di fargli scivolare vistose gocce di sudore lungo il volto di pietra.
Continua a ribadire che non firmerà mai tale amenità, gli sorrido quasi benevolo ed impartisco i comandi ai miei figli:

“Non vuole firmare? Crede che quanto scritto non corrisponda al vero? Bene! Lo dimostri…
Miguel, Antonio…vogliate bloccare padre Lorenzo e legarlo per bene con la corda!”

L’espressione dei due ragazzi, appena ventenni, non è delle migliori, in un attimo percepisco il loro smarrimento, lo stupore per aver capito dove io voglia arrivare e, contemporaneamente, leggo la loro accusa di pazzia nei miei confronti.
Ma sono prole ben educata e devota, dopo un primo attimo di tentennamento fanno esattamente ciò che ho ordinato.
Il padre è disteso faccia in giù sulla tavola, non si ribella, troppo è lo stupore. I miei figli prendono la corda e la legano salda ai polsi, avendo cura di mettere bene le braccia di padre Lorenzo dietro la sua schiena. Finito di stringere il nodo, ordino di far passare la corda attraverso il robusto lampadario, in modo da poter formare una carrucola. Mia moglie capisce pienamente il mio sadico disegno e, piena di timore, scatta in piedi e si ritira nelle sue stanza, in lacrime.
Il congegno è armato, guardo padre Lorenzo, mi avvicino al suo volto, lo guardo, lo esamino, il mio fiato è vicino al suo e gli chiedo per l’ultima volta se vuole firmare. Il malcapitato, e badate, non ho usato a caso tale espressione, non emette un suono.

“Bene, non dice nulla? Antonio, Miguel, sollevatelo!”

I ragazzi eseguono.
Vedo il corpo del padre sollevarsi da terra, le braccia tirate verso l’alto, posso udire l’articolazione della spalla scricchiolare. Mi avvicino.
Lo guardo in volto ed aspetto. Il colore roseo di padre Lorenzo passa a toni ben più accesi, posso vedere le sue urla nascere dal profondo del suo petto, farsi strada per la gola ed esplodere devastanti dalla sua bocca:

“AAAAAARRRRRGHHHHHH!!!!”

Urla. Urla come un maiale sgozzato, urla come una donna in preda al panico ma, cosa più importante, urla come i torturati dalla Santa Inquisizione.
Implora il Signore di dargli la forza, ansima e sputa e suda e piange.
Non godo alla scena, non è il suo dolore quello che mi preme, ciò a cui tengo è il risultato di tale dolore, voglio dimostrare fino a che punto può arrivare l’essere umano se sottoposto alla corda.
Il buon uomo di chiesa, secondo i miei auspici, resiste qualche minuto, dopodichè:

“Basta per pietà, basta!!! FIRMO!”

Sentire quelle parole mi rende leggero, soave.
Ordino di lasciarlo andare e gli sottopongo il foglio ed una penna.
Il padre è stremato, mi guarda in lacrime, del tutto devastato dal dolore, devo tenergli il braccio per farlo firmare, tanto è il suo tremore.
Gli sollevo il volto prendendolo per il mento:

“Allora, padre, mi sembra che la corda non sia questo infallibile strumento di giustizia divina, giusto?”

Non risponde e non voglio che lo faccia, mi basta così.

Da quel giorno al momento in cui scrivo, sono passati quindici anni.
Il mio gesto non è valso a salvare la mia piccola, già, l’abate si è opposto alle pressioni di padre Lorenzo affinché venisse liberata. Ma poco importa, mi basta che di Lorenzo nessuno abbia più sentito parlare e che io sia riuscito a dimostrare l’assurdità della tortura.
Strane voci si odono, le truppe napoleoniche stanno invadendo la città portando i loro ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza. Forse il tempo della Santa inquisizione è realmente finito, e forse potrò riabbracciare il mio angelo.
Lo spero con tutto il cuore.

giovedì 20 settembre 2007

il relativismo della Verità (Parte Seconda)





I toni, ormai, sono quelli dello scontro ideologico con risvolti personali e particolari. Sicuramente starete immaginando la scena come quella di un campo di battaglia con due galli dalle piume irte, pronti a beccarsi fino alla morte.
Niente di tutto ciò.
Il Padre, Lorenzo, così si chiama, continua a consumare beato il suo pasto, assapora seraficamente, solleva il calice e controlla il colore rubino del vino e, del tutto rilassato, sorride beffandosi del mio disappunto.
Cerco di giocare le sue stesse mosse e provo a coglierlo in fallo sfruttando i parametri della ragione.
Penso che il buon Dio non possa averci distinto così tanto dalle bestie per poi rinchiudere il nostro volere in stupidi dogmi e regole e comandamenti e chissà quali altre trappole.
Così, provo a stuzzicare il suo ingegno:

“Mi perdoni l’insistenza, Padre. Lei è sicuro, al di là di ogni ragionevole dubbio, della veridicità delle informazioni ottenute tramite la Corda?..aspetti, non risponda subito. Vede, non può essere che, spinto da dolori atroci, il malcapitato sia disposto a confessare qualsiasi verità pur di porre fine alle sue sofferenze?”

Padre Lorenzo abbassa il capo e sorride come se la domanda fosse posta dal più ingenuo dei pargoli o dal più stolto degli uomini. Prende delicatamente il tovagliolo e con grazia femminea asciuga il labbro dall’alone del vino, dopodichè, mi guarda beato e comprensivo, segno che deve avermi preso per uno stolto:

“Mpf, no, mio caro mercante. La corda è uno strumento di Dio, come tale divino e lontano da errori. Il malcapitato, come lei lo chiama, non ha nulla da temere se è nella giustizia di nostro Signore, perché è proprio grazie alla sua innocenza che il Sommo Padre gli darà la forza per sopportare ogni sofferenza”

Incrocia le mani sotto il mento e continua a sorridere, è odioso nella sua tunica corvina. Mi guarda con grandi occhi scuri, le labbra carnose si prendono gioco di me e quella posa, è pura provocazione. Non mi lascio abbattere, sorrido di rimando e mi alzo per ritirarmi nel mio studio.
Immagino che il Padre debba considerarsi vincitore di questa piccola battaglia, lui che rimane sul campo ed io che me ne vado sconfitto, con le spalle al muro, ma si sbaglia di grosso, oh sì, se si sbaglia.
Mi ci vuole veramente poco e torno in sala da pranzo, accolto dagli occhi sbarrati della mia devota moglie e dei miei due figli maschi. Il Padre continua a consumare ciò che io gli ho offerto.
Mi avvicino a lui e gli porgo un foglio di carta bianco avorio, quasi giallastra, dove l’inchiostro è ancora fresco.
Mi guarda.
Lo guardo.

“Bene, Padre, lei sostiene che se è nel vero, ogni uomo può sopportare il peso della tortura, perché aiutato dalla forza del Signore. Quindi, nessuno può rendere delle dichiarazioni che non corrispondano a verità, nemmeno se sottoposto alla corda?”

“Assolutamente corretto, nessuno può essere costretto a sottoscrivere dichiarazioni mendaci contro la sua volontà, perché se è nel giusto ha il Sommo Padre dalla sua parte”

“Molto bene, Padre Lorenzo, a tal proposito vorrei che lei prestasse attenzione a quanto ho scritto su questo foglio che mi appresto a leggere:

- Io, Padre Lorenzo, nel pieno delle mie capacità intellettive, dichiaro senza ombra di dubbio di essere il diretto discendente di una scimmia, di non avere nulla a che fare col genere umano a tal punto da non poter essere considerato un uomo. Dichiaro altresì di aver preso i voti e di essere entrato nel Santo Uffizio col chiaro scopo di arrecare danno a tale istituzione e di aver vissuto sempre nel peccato ignorando le leggi del Signore. –“

“Ma…quale idiozia è mai questa?”

“Firmi quanto è qui riportato, Padre”

Mi guarda stupito, non tanto per il contenuto della dichiarazione, ma per la decisione che legge limpida sul mio volto.

“Firmare? Non firmerò mai tale sciocchezza”

“FIRMI, Padre!”




continua...

martedì 18 settembre 2007

Il relativismo della Verità




Raccontino in due parti liberamente ispirato dal film: L'ultimo inquisitore.


In questa stanza del regno di Spagna, al calar delle tenebre, riscaldato da un virtuoso fuoco, scrivo quanto mi è accaduto, affinché i più sappiano che il sistema può essere sconfitto, che se applichiamo la ragione nel giusto verso, anche il dogma più tenace può essere rovesciato.
Sono lo sventurato padre di una giovane creatura di quattordici anni.
Lei è bella, talmente bella che il Goya l’ha voluta come modella per i suoi angeli.
Ha i capelli che sanno di dolcezza, di passeggiate nei giardini reali, occhi che scioglierebbero l’animo del più vile degli uomini, delle labbra candide che non mi appresto a descrivere solo per mantenere la compostezza di un padre di famiglia che vive nel timore di Dio.
Già, il timore di Dio, questa è la sudicia arma che la Santa Inquisizione riesce a puntarci contro.
La stessa Santa Inquisizione che due giorni fa ha preso il mio angelo e lo ha portato tra le sue austere mura.
Giudaismo. L’accusa è di giudaismo, e perché? Perché la mia piccola è stata colta mentre rifiutava della carne di maiale. Luridi porci, sì, loro sono maiali, talmente ottusi da non capire che una giovane ragazza può semplicemente detestare al gusto la carne di maiale.
Per voi che vivete al comodo delle vostre dimore, la vita così come si svolge negli anfratti può significare nulla, ma vi assicuro che dove cala il buio, lì l’animo umano si rivela per quello che è: vile e crudele.
So cosa si pratica nelle stanze del Santo Uffizio e so che la mala sorte ha colto la mia bambina.
Sono un ricco mercante, diciamocelo, ogni cosa ha un prezzo, anche la libertà di mia figlia ce l’ha.
Non basta molto, un semplice invito a cena inoltrato al capo dell’Inquisizione, la promessa di una copiosa donazione per la Chiesa e mia figlia sarà rilasciata.
Porci corrotti.
Il bello deve ancora venire, però.
Nel bel mezzo della cena faccio la mia proposta d’affari al Padre, un forziere colmo di monete d’oro, può bastare.
Cosa fa il lurido verme? Accetta, ma aggiunge:

“Per la donazione le siamo molto grati, e le assicuro che il suo nome verrà scritto nella pietra della chiesa affinché tutti sappiano di lei e della sua generosità, quanto a sua figlia, mi spiace ma nulla posso fare, ha confessato!”

Un tonfo al cuore mi deruba per un attimo della mia ragione, il tempo di rinsavire e la domanda fuoriesce limpida dalla mia bocca:

“Confessato? Questo significa che…”

“Già, significa che sua figlia è stata sottoposta alla Corda”

“Corda? Luridi…vorrà dire che è stata torturata!”

“Torturata…vede, noi uomini di chiesa non usiamo tale termine, è stata sottoposta alla Corda, e secondo il dogma, ciò che è confessato grazie all’ausilio della corda ha valore di prova legale!”

“Ma mia figlia non sa nemmeno cosa significhi –giudaismo-!!!”


continua…

giovedì 13 settembre 2007

Sondaggio-Gradirei il Vostro parere!





Vado subito al sodo: amo la psicologia da sempre, da quando ero alle medie, più o meno. Ho sempre letto articoli, inserti, saggi di psicologia con molto piacere ed avido interesse. Bene, cosa studio? Giurisprudenza!
La scelta della facoltò di legge è stata determinata da motivi abbastanza stupidi che ora non enuncio, sta di fatto che ho continuato su questa strada. Già verso il secondo anno mi era chiarissimo che la cosa non faceva per me, ma avevo già dato molti esami con buoni voti (sono uno che studia) e non mi sembrava il caso di mollare. Ad un certo punto della mia vita, circa due anni fa, ho iniziato ad ammalarmi, dopo due anni di medici il risultato è che sono sano come un pesce: si tratta di somatizzazioni. La mia situazione è abbastanza spiacevole, non dico quali sono i miei sintomi, ma vi assicuro che mi rendono la vita un inferno e condizionano moltissimo le persone che mi sono attorno e che mi vogliono bene. Secondo la mia psicologa, sì, per malattie psicosomatiche la via di cura è l'analisi, dicevo secondo lei, la mia mente ha tenuto la situazione sotto controllo finché ha potuto, poi, il mio corpo si è ribellato in malomodo. Ora sono ad un punto di rottura, i miei sintomi si acutizzano nel momento in cui apro un libro di diritto, con attacchi di panico annessi...
Quindi, ho deciso: mollo giurisprudenza che mi sta altamente sul cazzo e mi sta sul cazzo quello che potrei diventare con questa laurea.
Ah, la cosa più importante...mi mancano QUATTRO esami per laurearmi...ed i voti, per il 70%, vanno dal 26 al 30 e lode...
Sapete che vi dico? sti cazzi, io mi iscrivo a ventisette anni a psicologia, perché è quello che ho sempre voluto fare...
Una cosa mi assilla: è una scelta coraggiosa, vile o semplicemente stupida?
Mah...sta di fatto che già sono più contento!

mercoledì 5 settembre 2007

Solo per un brivido




In uno squallido ufficio, di uno squallido detective privato, in una squallida città, la vita scorre secondo piani e regole del tutto falsate rispetto a quello che voi potreste chiamare “normalità”.
La pioggia si suicida rumorosa lungo il vetro della finestra e il detective sente la metropoli come un pugno ben assestato alla bocca dello stomaco.
Il buon Jack cerca un minimo di spazio nel posacenere ormai colmo di mozziconi, ma alla fine si arrende alla necessità di ciccare sul pavimento ormai sudicio da anni.
Il fumo esce dalla bocca e crea vive figure pronte a dissolversi in un attimo. Jack si accarezza la barba poco curata e pensa che quel gioco di forme gli piace, come quando da bambino giocava con le bolle di sapone, solo che ora al suo posto c’è dell’aromatico tabacco, capace di poter bruciare ogni singola cellula sana all’interno di quei polmoni malandati.
Non un cliente da mesi: la vita a volte ti sputa in faccia e non fai in tempo ad asciugarti che già ti ha dato un bel calcio nel culo.
Mentre butta giù un sorso di fuoco e soffia aria calda vede una figura davanti alla sua porta in vetro opaco.
Non bussa, non si presenta, non sorride, entra semplicemente con fare sicuro, come un giaguaro con la preda e sbatte un bel seno tondo dritto davanti la faccia di Jack.
Lei è mora, ha i capelli che sanno di paradiso, una bocca fatta per mentire ed un profumo che renderebbe idiota anche il più arguto degli uomini.
Il silenzio diventa improvvisamente più eloquente di mille parole. Si guardano, lui riesce a fare una smorfia simile ad un sorriso, lei, lo asseconda col movimento del corpo. Leggera come l’aria muove quei tacchi alti almeno dodici centimetri attorno alla scrivania, divarica le gambe del detective e ci si pianta dritta in mezzo e, guardandolo dall’alto, con una voce profonda ma tremendamente femminile:

“Dicono che sei uno bravo, credi di esserlo abbastanza per me?”

“Tu dimmi cosa c’è da fare, ed al resto ci penso io.”

La donna a questo punto sorride beffarda, ha una strana luce negli occhi ed emana una vibrazione che ha il sapore di guai.

“Ci penso io? Non credo proprio, bello…lascia fare a me.”

L’angelo demonio si china lentamente, afferra il detective dietro la nuca e lo immobilizza con un bacio fatale. La pioggia continua la sua danza tribale sui vetri della finestra lasciando intravedere le sagome dei due, buie, illuminate da una tenue lampada da scrivania. Ora sono uniti, lei lo sovrasta decisa dall’alto, lui, asseconda il suo volere rimanendo con una mano sul bicchiere e l’altra con la sigaretta tra le dita.
Terminato l’attimo di passione la donna si volta con un fare che lo drizzerebbe anche ad un morto, solo il rumore dei tacchi a spillo l’accompagna verso l’uscita, un attimo, velocissimo e si gira sorridente e soddisfatta, come se avesse provato mille orgasmi:

“Avevano ragione…sei uno bravo, bye bye detective.”

E con un piccolo cenno della mano di fata, richiude la porta alle sue spalle e svanisce nel buio di uno sporco corridoio, lasciano lo squallido detective, in uno squallido ufficio di una squallida città, a riflettere sulle regole della vita, ma con il profumo di un angelo sulle labbra.