
- Si…Si…ancora, muoviti di più…oddìo!!!-
- Ahhhh, Ahhhh…sei fantastica!-
- Gesù, non ti fermare!!! –
“Driiin…Driiin…Driiin! –
- Scusa tesoro…
Pronto? Hei Tom, ma no che non mi disturbi, dimmi…le prove? Così, su due piedi?
Ma certo, dammi dieci minuti, il tempo di prendere il basso e vengo! –
“click!”
- Amore, perdonami ma mi hanno fissato le prove col gruppo all’ultimo momento, devo andare… -
- ma…ma…Jack!!! Non dirai sul serio?! –
- Oh, Kim, lo sai che abbiamo un concerto importante tra una settimana…scusa eh, ti chiamo
dopo…-
- JACK!!! TI ODIOOOO!!! –
“slam!!!”
Salve! Questo sono io, Jack Miller, anni venticinque, alto atletico…avete presente Brad Pitt? Beh, non c’entro nulla, sono moro con gli occhi scuri, ma me la cavo lo stesso. Studente a vita di economia ed una sola passione (tralasciando le donne): la musica, o meglio, il Rock!
Bassista giocoliere dalla pizzicata acrobatica, mi muovo su e giù per il manico come un ragno sulla sua tela, stacco padiglioni auricolari a suon di slappate e, se permettete, posso infilarmi languido sotto le vostre gonne con note tonde, calde, umide e succulente.
La mia vita ruota tutta intorno a quello che per me è come una religione, un’idea, un dio da venerare, un pensiero innato, una categoria della mente: la mia band.
Di gruppi ne ho passati tanti, sapete, sono abbastanza richiesto come bassista, ma questo è quello definitivo, quello che mi porterà a calcare i palchi più prestigiosi, quello che mi darà la fama, in definitiva, quello che farà avverare il sogno di fare del rock la mia vita.
Noi siamo i Donkey Race!
Un gruppo è un po’ una setta, e come tale è composto di persone che pensano e agiscono all’unisono, mossi da un ideale comune e pronte a dare tutto per questo.
Ecco, quello che ho appena detto è ciò che ho sempre pensato e che pensavo fino ad un anno fa.
L’avvenimento che si è verificato in quella data, meglio, come siamo arrivati a quello che è successo ve lo racconterò con calma, ma procediamo per gradi.
Come dicevo, un gruppo è fatto di persone, ed è giusto che ve le faccia conoscere.
Tom Luke, newyorkese fino al midollo (dimenticavo, siamo tutti della grande mela!), scaltro, beffardo, la Fender Stratocaster è stata disegnata per finire tra le sue mani. Delle leggende metropolitane narrano che alla sua prima esibizione live si sia scolato una bottiglia di Gran Marnier per poi vomitarla sul pubblico. È l’amico che tutti vorrebbero, l’amante che tutte le donne desiderano e, non da poco, ha il tocco.
Il tocco è quel qualcosa che non ti insegnano a scuola, ma ti nasce da dentro; è quel feeling che instauri con le corde fino al punto che sono loro ad implorarti per essere pizzicate, stirate, fatte vibrare a morte. Il tocco ti entra dentro e ti scruta, e dopo che ti ha rivoltato come un calzino, sei pronto a chiedere il bis.
Chitarra e coro del gruppo, ma in realtà è l’anima pulsante che dona vita a tutte le nostre canzoni.
Per la cronaca, studia marketing con ottimi risultati, cosa c’entri questo col rock sto ancora cercando di capirlo.
Matt Rude, in lui ebano e avorio vivono in perfetta armonia.
Eclettico, sperimentatore e gran rompicoglioni. Se avete una sorellina a cui volete un minimo di bene, non presentategliela. Passa dalle atmosfere acide al virtuosismo con la disinvoltura di una troia che ti sfila le mutande, anche se non sempre è altrettanto piacevole. Lui è il promoter, l’impresario, il manager e il fattorino, se c’è da farsi il culo, lui è già lì ad abbassarsi i pantaloni.
Gestisce una bettola chiamata “Rock’s ass”, il classico posto dove si fuma, si beve, si beve e si fuma e, se hai culo, ti rimorchi qualche battona che fuma.
A volte mi chiedo “perché lui?” ma vi assicuro che come tastierista è insostituibile.
John Philip, pistone, biella ed albero motore dell’intera band. Campa dando lezioni di batteria, ma da quando ha rotto una bacchetta sul braccio di un allievo che si trovava sempre al contrario rispetto al tempo, non ha una grande clientela.
Se non fosse per lui non suoneremmo, beh, non perché sia il miglior batterista del mondo, ma perché è l’unico che capisce qualcosa di elettronica, io, personalmente, so solo attaccare il jack al basso, il resto è noia.
Silenzioso per indole, sempre alla ricerca della donna perfetta, che ovviamente non troverà mai.
Donne, non vi accalcate per provarci, è talmente imbranato che l’unica soluzione sarebbe mandargliela tramite UPS, ma in quel caso potrebbe respingerla al mittente.
Se proprio volete qualche ora di sesso pornografico potete rivolgervi a Simon Lab, il cantante.
Lui sì che è un maiale di quelli da oscar ma, è tanto porco quanto tenero. È il papà del gruppo, quello grande, il trentenne. Gestisce una stazione di rifornimento, cosa che rende, ma è abituato ad infilare i verdoni nei tanga delle spogliarelliste, quindi, è in bolletta perenne. Voce calda, suadente, mistico incrocio tra “The Voice”, “The King” e lo spazzino che fischietta tra sé e sé di notte.
Diciamo che come frontman non è il massimo della scioltezza, ma con tre-quattro litri di birra il gioco è fatto.
Beh, che dire: voce, chitarra, tastiere, basso e batteria, il gruppo perfetto.
Ma il destino non la pensava così…
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